Un uomo di 39 anni ha scelto di morire, con la mente lucida di chi considerava la sua una "non vita". Soltanto le persone che lo amavano e che gli sono state accanto possono comprendere ciò che ha passato nell'ultimo periodo della sua vita. Fabiano Antoniani, in arte dj Fabo, si è appellato ad un diritto che in Italia viene ancora negato e, per questo motivo, ha scelto un altro Paese per porre fine alla sua esistenza vegetativa.

La legge italiana

Il caso di DJ Fabo è diverso da quello di Eluana Englaro. In quella circostanza (era il 2009) si trattò di un'interruzione volontaria delle cure. La Corte di Cassazione, al termine di un lunghissimo iter legale, accolse la richiesta del padre della giovane lecchese che si trovava in stato vegetativo dal 1992. Nella circostanza di Fabo invece, si tratta di un suicidio assistito, un intervento attivo senza il quale le condizioni di vita del paziente rimarrebbero inalterate e che, pertanto, ne determina la morte. In Italia è reato, in base agli articoli 579 e 580 del Codice Penale, relativi all'omicidio del consenziente ed all'istigazione al suicidio.

Marco Cappato, tesoriere dell'associazione 'Luca Coscioni' che ha accompagnato Fabo nel suo ultimo viaggio in Svizzera, potrebbe rischiare una condanna fino a 12 anni di reclusione. Ma il 39enne milanese è uno dei tanti che si è rivolto all'associazione suddetta per informazioni ed assistenza su eutanasia e suicidio assistito. Le richieste in merito, nel 2015, sono state 232 ed è un numero significativo.

Eutanasia e biotestamento

In questi anni le proposte di legge sull'eutanasia sono state sei, tra le quali figura quella di iniziativa popolare, sottoscritta da oltre 67 mila cittadini attraverso l'associazione 'Luca Coscioni', presentata nel 2013. Il testo prevede che un paziente affetto da malattia incurabile possa chiedere di morire, a patto che l'eutanasia non porti ad ulteriori sofferenze fisiche e ne rispetti la dignità.

Le altre proposte in merito sono quelle di Eleonora Bechis (Gruppo Misto), Titti Di Salvo (PD), Michela Marzano (Gruppo Misto), Mara Mucci (Gruppo Misto) e Marisa Nicchi (Sinistra Italiana). Tutto giace da quasi un anno nel pantano delle Commissioni affari sociali e giustizia della Camera. La legge sul biotestamento, la cui relatrice è Donata Lenzi (PD) riguarda invece le "dichiarazioni anticipate di trattamento" che prevedono la possibilità, per un soggetto maggiorenne, di lasciare per iscritto le proprie volontà qualora nel futuro una disgrazia lo porti in stato di incoscienza vegetativa. Volontà che potrebbero dunque prevedere il rifiuto delle cure. Il ddl in questione dovrebbe approdare a Montecitorio il mese prossimo, a meno di ulteriori rinvii (finora sono stati tre, ndr).

Se la politica fa 'melina' dinanzi a questa spinosa tematica, i cittadini italiani al contrario sembrano avere le idee chiare: il 60 %, in base all'ultima rilevazione Eurispes, sono favorevoli ad una legge sull'eutanasia.

Una battaglia di civiltà

Sul caso di Fabo è stato detto e scritto di tutto e, purtroppo, sono stati sollevati anche i vessilli del 'bigottismo militante' che, in difesa di presunti valori etici e religiosi, condannano la scelta dell'eutanasia. Ma queste 'alte considerazioni', pane quotidiano di un Paese che non riesce ancora a scrollarsi dalle imposizioni di una gerarchia clericale anacronistica, sono prive di significato dinanzi all'estrema sofferenza di un malato terminale o di chi è condannato ad una vita che non è vita.

L'eutanasia legale è una battaglia di civiltà ma, ancor prima, l'eutanasia è una scelta d'amore per chi si trova indirettamente a patire della condizione di un paziente come Fabo. Una scelta dettata dalla consapevolezza che la persona amata non può salvarsi ed è inoltre destinata a soffrire. "Soffri tanto in questa vita, ma sarai ricompensato in Paradiso", è il leitmotiv della cristianità. Un palliativo per chi soffre, ma non è un buon motivo per lasciare queste persone ancorate al loro inferno quotidiano.