Ha destato scalpore, in questi ultimi giorni, la decisione di una dipendente di ikea che, dopo un breve colloquio con il padre di un bambino, ha deciso di non ammetterlo all'interno dello spazio dedicato ai più piccoli. Il figlio della coppia padovana soffre di Autismo, e i genitori hanno avvisato che vi fosse il serio pericolo che, durante uno dei suoi attimi di "deficit", potesse togliersi i calzini anti-scivolo.

Da ciò è scaturita la mancata ammissione del bimbo da parte dell'addetta preposta all'accesso.

Ad una prima analisi, il gesto della signorina sembra essere imperdonabile ed inspiegabile, se non che, per una questione prettamente igienica e di sicurezza, l'obiettivo di Smaland è sempre stato quello di salvaguardare l'incolumità dei bambini presenti nelle proprie strutture.

Il padre, infuriatosi, ha chiesto chiarimenti, e si è scagliato verbalmente contro la presa di posizione dell'azienda ma, nonostante ciò, il piccolo di 5 anni non ha comunque ottenuto il tanto agognato permesso. L'uomo, inoltre, ha denunciato l'accaduto, chiarendo fin da subito la sua intenzione di adire le vie legali, chiedendo i danni morali in sede civile.

In seguito all'esclusione del bimbo dall'area giochi di Ikea, la famiglia ha ricevuto la solidarietà di tutti i presenti, tra i quali vi erano altri bambini che, stando ad alcune testimonianze, sarebbero scoppiati a piangere in seguito al mancato permesso concesso al loro coetaneo. Andrea, spettatore e testimone oculare per eccellenza, nonché padre della parte lesa, ha inoltre aggiunto che tutte le madri che hanno assistito alla scena si sono recate dalla moglie, affermando che un gesto di questo tipo non può, a parer loro, essere accettato.

L'azienda svedese, a sua discolpa, ha dichiarato che, nei pressi di questi spazi, è indicata la lista delle regole da seguirvi all'interno, e che le norme igieniche vanno rispettate categoricamente per la tutela di minori che, in quell'area, non sono nemmeno sotto la sorveglianza diretta dei propri genitori.

Autismo e scelte complicate

L'autismo è una malattia caratterizzata da un disturbo del neuro sviluppo. I primi segni evidenti della patologia possono essere riscontrati anche a partire dai primi due anni di vita. Essa provoca, fondamentalmente, una compromissione dell'interazione sociale, deficit verbali e comunicativi generali. DSA (Disturbo spettro autistico) è la sigla che viene utilizzata per indicare, più genericamente, tutti i disturbi aventi queste caratteristiche.

Andrea, il padre del piccolo, ha precisato fin da subito che il figlio manifesta questo particolare disturbo, mettendo la sorvegliante in guardia da eventuali comportamenti deficitari del piccolo. La dipendente, però, è stata intransigente nel voler escludere il bimbo, poiché il regolamento dell'area parla chiaro: non possono accedere bambini che non indossano calze anti-scivolo.

Due sono i punti di vista che si fronteggeranno, sembra persino in tribunale: la posizione della famiglia del bimbo che richiede un risarcimento per danni morali, e l'azienda scandinava che, di contro, ha nel regolamento una forte base difensiva. Infatti, se i primi hanno manifestato tutto il loro disappunto per la mancanza di sensibilità e di attenzione nei riguardi del minore, condannando totalmente il gesto dello staff, la parte accusata non accetta di subire un tale affronto.

Se un regolamento è stato messo nero su bianco, se ci sono delle regole da far seguire, la direzione non applica sconti a nessuno: non per un piacere personale, ma perché di bambini, nell'area giochi, ve ne sono moltissimi, e la salvaguardia della loro incolumità igienica e fisica ricade proprio sulle spalle della società.

Se il piccolo rischiava di togliersi le calze, sembra impensabile che una singola dipendente potesse seguire e badare unicamente a quest'ultimo, con il rischio di trascurare gli altri e di andare incontro a situazioni spiacevoli.

Certamente, se le due parti si fossero immedesimate in quella opposta, la vicenda sarebbe potuta finire in un modo migliore, senza queste accuse e rimostranze reciproche. La famiglia avrebbe dovuto capire che le regole ferree devono essere applicate ad ogni possibile fruitore dello spazio comune, mentre l'addetta all'ingresso, probabilmente, avrebbe dovuto avere un occhio di riguardo verso il bambino, autorizzandolo a giocare, e magari riuscendo a controllarlo e a sorvegliarlo nel migliore dei modi.