Era mercoledì 13 giugno, quando tre giornalisti sono stati fermati dalla Guardia di Finanza di Bolzano, e trattenuti in caserma per più di tre ore per rispondere a delle domande su alcuni articoli riguardanti l'indagine della Procura di Genova sui presunti flussi finanziari della Lega. I cronisti, nello specifico, sono Matteo Indice de "La Stampa", Ferruccio Sansa de "Il Fatto Quotidiano" e Marco Preve di "Repubblica".
I giornalisti si trovavano nei pressi della Sparkasse, la Cassa di Risparmio di Bolzano, in vista di un'imminente perquisizione da parte della Guardia di Finanza e di alcuni ispettori di Bankitalia, rientrante nell'inchiesta genovese su presunti flussi finanziari della Lega. Nello specifico, i magistrati stanno cercando di risalire ai 48 milioni di euro (o almeno ad una parte di essi) che il partito del "Carroccio" dovrebbe rendere allo Stato in seguito alla condanna in primo grado emessa lo scorso luglio verso l'ex segretario Umberto Bossi e l'allora tesoriere Francesco Belsito. Al contempo, gli inquirenti sono al lavoro per capire a chi apparterebbero i 3 milioni di euro che, in seguito alle elezioni politiche del 4 marzo, sarebbero passati dal Lussemburgo all'Italia, e che potrebbero essere in qualche modo riconducibili al "tesoretto" della Lega di 48 milioni di rimborsi elettorali non dovuti.
Indice, Sansa e Preve erano proprio nelle vicinanze della sede centrale della Sparkasse per seguire gli ulteriori sviluppi dell'inchiesta, quando sono stati avvicinati da alcuni agenti della Guardia di Finanza. Matteo Indice de "La Stampa", intervistato da TPI, ha spiegato che gli uomini delle "Fiamme Gialle" hanno chiesto a lui e agli altri due colleghi di seguirli in caserma, dove sono stati trattenuti e interrogati per circa tre ore come "testimoni di in un'indagine per violazione del segreto istruttorio". Il cronista ha anche rivelato che gli inquirenti hanno posto delle domande sui motivi della presenza dei tre giornalisti a Bolzano, e sugli articoli che avevano pubblicato il giorno stesso.
La reazione della Federazione Nazionale Stampa
La Federazione Nazionale Stampa Italiana (FNSI) non ha fatto attendere la sua reazione, rilasciando un comunicato che ha condannato "il comportamento intimidatorio messo in atto da magistratura e polizia giudiziaria nei confronti dei colleghi impegnati a illuminare una delle vicende più oscure di questi ultimi anni".
Matteo Indice, durante l'intervista rilasciata a TPI, ha giudicato eccessivo definire l'interrogatorio come un "atto intimidatorio", chiarendo che non vi è stato "alcun tipo di modalità drammatica", anche se per lui ci sarebbe stato "un esercizio dell'azione penale un po’ anomalo". In altre parole, per il cronista de "La Stampa", quello delle Fiamme Gialle è stato una sorta di atto simbolico, anche perché, basandosi sulla sua esperienza professionale, ha rivelato che se il problema fosse stato esclusivamente legato agli articoli pubblicati in mattinata, lui e gli altri due colleghi de "Il Fatto Quotidiano" e "Repubblica" avrebbero dovuto ricevere un avviso di garanzia o un invito a comparire come indagati e, in tal caso, si sarebbero potuti presentare agli inquirenti con i rispettivi avvocati.
In Italia crescono le minacce verso i giornalisti
Secondo il rapporto 2018 di "Reporters sans frontières", l'Italia rispetto allo scorso anno ha guadagnato 6 punti in merito alla libertà di stampa, salendo al 46° posto su 180 Paesi esaminati. Nonostante ciò, secondo il report gli atti di intimidazione, violenza e minacce nei confronti dei giornalisti italiani sono in aumento.
Rsf ha anche affermato che, nel nostro Paese, numerosi esponenti del settore dell'informazione sarebbero piuttosto preoccupati per la recente vittoria alle elezioni politiche del Movimento 5 Stelle, un partito che storicamente ha spesso attaccato la stampa per il suo lavoro, comunicando anche pubblicamente i nomi dei giornalisti poco graditi.
Allo stesso tempo - come riportato da "Il Fatto Quotidiano" - nell'analisi statistica si pone in evidenza come in Italia i cronisti siano sempre più sottoposti alle pressioni della politica, con molti professionisti che preferirebbero ricorrere all'autocensura per evitare di incorrere in problemi.