Il dibattito sul crocifisso e il presepe nelle scuole entra nel vivo anche quest’anno con l’avvento del Natale. Con il cambio di Governo, pare che il nuovo sentimento sia quello a favore dei simboli religiosi nelle aule scolastiche, senza alcuna forzatura ma rispettando, invece, la sensibilità spirituale su cui trovano fondamento le radici della cultura italiana.
Il dibattito sul crocefisso nelle aule scolastiche
Sorto sul finire dello scorso secolo, il dibattito si è acceso in Italia nei primi anni del nuovo millennio, portando con sé dissapori e prese di posizione, talvolta pretestuose e di scarso valore, al fine di proteggere l’una o l’altra visione. Con il nuovo Governo, l’ottica è molto chiara e tende a rispettare il valore del simbolo, senza addentrarsi necessariamente nel significato religioso.
Questo è l’orientamento espresso proprio dal ministro Bussetti nel corso di un incontro con la Fidae, sottolineando come il crocifisso identifichi un “simbolo della nostra storia, della nostra cultura, delle nostre tradizioni: non vedo che fastidio possa dare nelle nostre aule scolastiche anzi, può aiutare a far riflettere".
Un’opinione condivisa da molti docenti e rappresentanti pubblici, che hanno sempre riscontrato nell’opinione contraria al crocifisso nelle scuole una certa debosciatura accompagnata da uno spirito debole nel difendere le tradizioni di una nazione.
Un atteggiamento molle che avrebbe lasciato campo libero ad ogni pretesa, talvolta anche in aperto contrasto con il rispetto della tradizione culturale tricolore.
Crocifisso e presepe come simbolo positivo
Gli fa eco dalle montagne del Trentino Maurizio Fugatti, presidente della giunta provinciale che ha annunciato che tutte le scuole della regione saranno vivamente esortate ad appendere il crocifisso e a fare il presepe. Un modo per comprendere il significato del simbolo e contribuire a coltivare le “radici cristiane” della nostra tradizione.
I detrattori dell’ostensione del crocifisso nelle scuole, invece, si appellano al principio della laicità della Stato per cui le scuole, così come tutti gli altri edifici pubblici, dovrebbero essere privi di simboli religioni. E la risposta di Paolo Pendenza, dirigente dell’istituto De Gasperi di Borgo non si fa attendere: "La scuola è un’istituzione laica e il crocifisso è un simbolo che non è necessario nelle aule".
D’altro canto, l’annullamento dei simboli religiosi propri della cultura italiana priverebbe il cittadino di un simbolo spirituale che, seppur specifico di una religione, fa parte delle radici culturali di una nazione, oltre a impoverire la sensibilità di ciascuna persona verso il sentimento spirituale che, in ogni cultura, viene coltivato e nutrito.
Alcuni hanno visto nelle motivazioni dei detrattori un senso di attacco volontario alle radici cristiane, dal momento che nel sostenere la laicità dello Stato, le tesi laiciste sono spesso sconfinate in una mera difesa delle culture esterne a quelle italiane (quella musulmana, in primis) procedendo, quindi, non ad un annullamento della sentimento di fede in generale, ma in una “sostituzione” che promuove semplicemente una spiritualità diversa e proveniente da altre culture (musulmana, orientale in genere).
Che cosa dice la legge
Attualmente, l’esposizione del crocifisso nelle aule scolastiche italiane è previsto dall'art. 118 del Regio decreto 30 aprile 1924, n. 965. e dal Regio decreto 26 aprile 1928, n.
1297. I Decreti, seppur antichi, non sono mai stati abrogati e quindi sono da ritenersi validi a tutti gli effetti.
La normativa relativa al crocifisso nelle aule scolastiche in Italia nasce con una legge del lontano 1859, la Legge Casati, che rappresenta l'inizio dell'importanza della religione cattolica all’interno della scuola, nello specifico delle scuole del tempo che insistevano sul territorio dell’allora Regno di Sardegna. Dall'Unità d'Italia in poi, i decreti degli anni successivi, risalenti al 1924 e 1928, parlano di validità del simbolo religioso per le scuole elementari e scuole medie, nelle cui aule il crocifisso deve essere accompagnato all'immagine del Re d'Italia (poi sostituito dall'immagine del Presidente della Repubblica).
Le scuole materne, superiori e le Università, invece, parrebbero libere di interpretare questa disposizione dal momento che tali Leggi non contengono riferimenti specifici ad esse.
I detrattori dei simboli cristiani in aula si appellano al principio di laicità professato dallo Stato italiano, che in questo modo verrebbe violata. Chiamati in causa i tribunali civili, questi ultimi hanno però ribadito la loro “non competenza a giudicare in materia” in quanto le indicazioni del Ministero non rappresentano leggi, ma provvedimenti amministrativi propri della Scuola. L'ente preposto ad esprimersi in questi casi è, quindi, il TAR, che nel 1998 e nel 2006 si è pronunciato a favore del crocifisso nelle aule scolastiche.
Tre anni dopo, la questione arriva sui tavoli della Corte Europea per i Diritti dell'Uomo. Con la sentenza Lautsi del 3 novembre 2009, l'Ente europeo sentenziò in 1° grado che il crocifisso nelle aule rappresentasse "una violazione del diritto dei genitori a educare i figli secondo le loro convinzioni e del diritto degli alunni alla libertà di religione". Due anni dopo, con la sentenza del 18 marzo 2011, però, la sentenza venne ribaltata in 2° grado: l’Italia fu assolta con 15 votanti a favore e 2 contrari. La motivazione è presto detta e si fonda sulla tesi della mancata sussistenza di elementi ad effettiva prova dell'eventuale influenza sugli alunni del crocifisso esposto nelle aule scolastiche.