Sulla storia del Sagrantino regna una certa confusione. Carta stampata e pubblicazioni in rete non riescono a mettersi d'accordo su di una storia e sulle origini di questo straordinario vitigno. A parte un paio di citazioni cinquecentesche il suo nome non compare ufficialmente prima del 1879, anno in cui è annoverato nel Bollettino Ampelografico. Nella “Guida Gastronomica d'Italia” (1931) del Touring Club leggiamo: “Sono da ricordare tra i vini speciali, il Sagrantino di Montefalco...”
Lo stesso disciplinare della DOC azzarda alcune ipotesi sulle origini del vitigno, come quella secondo cui dei Frati francescani di ritorno dal vicino oriente avrebbero portato con se alcune barbatelle.
Tale ipotesi si può escludere categoricamente: i francescani sono monaci mendicanti e non portavano a spasso altro che lo stretto necessario.
Plinio il vecchio ci indica la via
Si è anche scomodato Plinio il Vecchio, il quale parla di un'uva detta itriola che dava un vino pregiato nel territorio di Montefalco. Che questo vitigno possa essere l'antenato del Sagratino lo smentisce lo stesso Plinio, quando in merito ad un altro vitigno, la vitis vinifera, dice che le foglie "come quelle della vite labrusca, diventano di colore sanguigno prima di cadere". Se oggi si va in autunno a Montefalco si vedranno colline coperte da tappeti rossi: le foglie del Sagrantino.
Dunque il Sagrantino è una Labrusca, un vitigno autoctono di origine selvatica diffuso in tutta la fascia appenninica, diviso in tanti cloni diversi e cito giusto Lambrusco, Aglianico, Cesanese, Gragnano e Primitivo.
Nel XIV secolo ci riferisce delle labrusche il bolognese Pietro de' Crescenzi: “...e alcune maniere d'uve salvatiche che lambrusche si chiamano … e molto fanno piccole granella e piccoli grappoli, e sopra arbori e sopra pruni verdi per suo natural movimento vengono e non si potano: ma se si potassero, e per coltivatura si dimesticassero, i grappoli sarebbon maggiori e i granelli più grossi...”. Possiamo a questo punto immaginare con qualche solido argomento che il Sagrantino deve essere stato addomesticato nei dintorni di Montefalco tra il XIV e XV secolo.
Andrea Bacci ci svela il segreto
Nella “De naturali vinorum historia” di Andrea Bacci, siamo nel 1590 circa, troviamo un vino chiamato “Cesanio”, coltivato nella cittadina di Cesi nei pressi di Narni, oggi frazione di Terni, i cui grappoli si conservavano in certe grotte per qualche tempo prima della vinificazione, per produrre un vino dal "gusto giocondo". Trovata l'origine del Sagrantino ci rimane da capire come mai di questo vino si erano perse le tracce per tanto tempo. La storia è più semplice di quanto si possa credere ed è strettamente intrecciata con i contratti mezzadrili, scomparsi dalla faccia della terra con una legge del 1982. In tali contratti si stabiliva quali fossero le aree utili e quali fossero le tare, cioè strade, edifici, zone sterili e le spallette, troppo ripide per essere arate o zappate.
Proprio sulle spallette i mezzadri piantavano delle viti di Sagrantino e l'uva ed il vino che ne traevano non doveva essere diviso con il padrone e ne facevano quanto bastava per la famiglia. I grappoli non venivano vinificati subito, ma stesi su delle cannucciate in luoghi ventilati e freschi e poi lavorati in dicembre. Il vino che se ne ricavava veniva imbottigliato e tenuto in serbo per il grande pranzo di Pasqua, da cui il nome Sagrantino. Per averne conferma basta chiedere a qualche ex mezzadro di Montefalco.