Anche nella gastronomia il nazionalismo ha fatto i suoi bei danni, volendo far credere a tutti i costi che esistano le cucine "nazionali". Ancora oggi un gran numero di persone sono convinte che l'Artusi sia il codice unico della cucina italiana. Gli viene addirittura attribuito il merito di aver posto le basi per la formazione della "cucina nazionale" e di aver contribuito alla formazione della lingua comune dell'Italia post-risorgimentale; si tratta evidentemente di un'esagerazione. In Italia esiste una folla di cucine regionali, in parte ancora sconosciute, ricche di storia, Arte e cultura.

Quanta Italia c'è nel libro di Pellegrino Artusi?

Qualcuno dovrebbe spiegare cosa c'entrino nel suo libro la "zuppa alla spagnuola", la "zuppa con cipolle alla francese", i "maccheroni alla francese" (che Iddio lo perdoni!), il "piccione all'inglese", il "bue alla California", la "spalla d'agnello all'ungherese", il "filetto alla parigina", il "lesso rifatto all'inglese" ed altri piatti forestieri. C'è anche chi con profonda convinzione ripete che Artusi abbia preso le Ricette dalle diverse cucine regionali, affermazione avventata, che solo con difficoltà trova riscontro nel testo. Vi si trovano nomi di pietanze con l'aggiunta di indicazioni come "alla bolognese", "alla parmigiana", "alla milanese", "alla napoletana", "alla siciliana", "alla genovese", "alla romana", "alla fiorentina", "alla palermitana" e così via, ma va anche detto, tanto per esempio, che i "saltimbocca alla romana" in realtà provengono dal Veneto.

Di cucina tradizionale regionale in Italia si parla seriamente solo a partire dalla fine degli anni venti, ma non da parte del regime fascista, fautore di una dieta uguale per tutti, ma dal Touring Club Italiano, i cui soci contribuirono coralmente a compilare la "Guida gastronomica d'Italia", un testo fondamentale, nel quale molte specialità gastronomiche locali, allora sconosciute a livello nazionale, furono registrate per la prima volta.

Una Gastronomia dalle radici antiche

Greci, Etruschi, Fenici ed altri popoli dell’antichità, provenienti da tutti gli angoli del mondo, attraverso le ere ed i secoli, per grandi e piccole epoche storiche hanno attraversato o si sono stanziati sulla penisola, lasciando tracce ancora oggi riconoscibili. Così come nella lingua e soprattutto nei dialetti, come ancora negli usi e costumi, hanno impresso la propria impronta nelle abitudini alimentari, nei prodotti, nei modi di prepararli e consumarli.

Il senso della tradizione collegato all’apertura verso i nuovi arrivati ha fatto sì che ogni nuovo prodotto affacciatosi alle porte d’Europa ha trovato rapido impiego nella cucina italiana. Quando per gli altri la patata o il pomodoro erano poco più di una pianta esotica per decorare i giardini, sui fornelli italiani già si erano affermate ricette per gustarne appieno i frutti.Emblematico il caso delle patate, che in Germania, contrariamente a quanto si sarebbe portati a pensare, sono entrate nella dieta normale almeno duecento anni dopo il nostro paese, nella seconda metà del XVIII secolo.

Questa permeabilità culinaria ha naturalmente avuto un notevole riflesso sulla produzione agricola, che registra una diversità biologica difficilmente eguagliabile, ancora all'avanguardia nonostante i duri colpi subiti da una sedicente "modernizzazione" che tende ad uniformare ed appiattire ogni cosa in nome del profitto e di una economicità il cui unico motore sembra essere in guadagno facile. Di tutto questo ed altro ancora tratteremo nei prossimi articoli.