Resta cummé sembrano dire gli occhi del piccolo Massimo alla madre canterina dallo sguardo triste. Un richiamo al legame essenziale e simbiotico di una donna col suo bambino, un vuoto incolmabile che la sua assenza improvvisa porterà nel cuore e nella vita di un uomo che non si darà mai pace, cercando la verità su questa dipartita poco nitida. "Fai bei sogni" non è soltanto la storia del legame primordiale interrotto dolorosamente, di una mamma che muore e di un bambino che rimane orfano, ma è soprattutto la storia di quel bambino diventato uomo, incapace di vivere una vita di relazioni con le donne e con il mondo perché accompagnato costantemente dallo spettro della madre la cui fine rimarrà per lui avvolta nel mistero per molti anni.

"Fai bei sogni", la trama

Siamo nella Torino del 1969 e a nove anni Massimo (Nicolò Cabras) perde la mamma (Barbara Ronchi) per un infarto improvviso - così gli verrà detto dal padre qualche anno dopo - e nessuno dei parenti sembra intenzionato a renderlo partecipe di questa morte. Massimo vivrà un'infanzia solitaria con un padre (Guido Caprino) freddo e distaccato e con Belfagor come alleato protettore in chiave horror, un'adolescenza difficile dove si aggrapperà alla fede nella speranza di riavvicinarsi alla madre defunta (splendido il cameo con il prete docente Roberto Herlitzka); diventerà un giornalista affermato (Valerio Mastrandrea) ma continuerà a convivere con il ricordo straziante della madre scomparsa.

Solo alla fine, a più di trent'anni da quel giorno, scoprirà come sono andate davvero le cose e riuscirà a rimettere in piedi la sua vita e ad innamorarsi di una bella dottoressa (Bérénice Bejo).

"Fai bei sogni", dal libro al film di Bellocchio

Difficile mettere sugli schermi il romanzo autobiografico di Massimo Gramellini, pubblicato nel 2012 da Longanesi e subito in vetta alle classifiche di vendita, lavoro complesso come ogni trasposizione cinematografica che si rispetti. Marco Bellocchio - che ha scritto la sceneggiatura insieme a Valla Santella e Edoardo Albinati - riesce nell'impresa dando un equilibrio e una linearità ad una storia tortuosa fatta di flashback e situazioni frazionate negli anni; ha tratto "liberamente" un soggetto - così come ha affermato il regista - e lo ha plasmato rendendo al pubblico il suo rimpianto inconsolabile.

Bella l'ambientazione, gli arredi di una tipica casa italiana anni '60, e la Torino della strage di Superga, malinconica e annebbiata quanto basta, che viaggia all'unisono con le scelte musicali di Carlo Crivelli e la sua riuscita colonna sonora. Un plauso speciale al piccolo Nicolò Cabras, perfetto interprete di Massimo bambino con la sua dolcissima r moscia mentre non convince pienamente il Massimo adulto interpretato da Valerio Mastrandrea, sempre forte nella sua capacità di trasmettere malinconia ma che pecca di una 'romanità' troppo presente per calarsi del tutto nella parte.