Gastone Moschin, l'ultimo degli "amici miei", è morto lunedì 4 settembre 2017. E' stato quasi un dovere, per molti, rimettere mano ai dvd della saga completa di "Amici miei": sicuramente il primo, quello più bello, più vero, contiene la filosofia e, per dirla con un termine che farebbe imbestialire il Michele Apicella di "Palombella rossa", il core message che ha permeato l'intera serie.

Il personaggio e la storia

Moschin, nella saga, impersonava l'architetto Rambaldo Melandri, ovvero colui che, sistematicamente, si innamorava di donne dalle quali, dopo non molto tempo, riceveva fregature colossali. Nel primo film questo immenso amore si impersona nella moglie del Sassaroli (Adolfo Celi), ovvero il primario della clinica nella quale gli amici, dopo un incidente stradale seguito all'ennesima "zingarata", sono stati ricoverati per un breve periodo. Melandri, non sopportando la clandestinità della relazione, decide di incontrare il primario a viso aperto (l'amicizia tra lui e gli altri non è ancora sorta) e questi, in modo geniale, acconsente a dare l'approvazione all'amore tra sua moglie e l'architetto ma, al tempo stesso, rifila a questi anche le due bambine, un cane San Bernardo gigantesco ed una governante "tedesca, due anni di contratto, severissima, in uniforme", rendendosi in tal modo un uomo totalmente libero e relegando l'altro alle piccole schiavitù della vita familiare.

Inutile dire che proprio il cinismo di Celi gli farà guadagnare, agli occhi degli altri amici, un profondo rispetto, e proprio da questo nascerà l'amicizia anche con lui: inutile perché sarebbe come continuare a fare una specie di riassunto di un film che molti hanno visto e rivisto centinaia di volte, ridendo, piangendo e, soprattutto, riflettendo.

La filosofia della saga

La saga di "Amici miei" non rappresenta soltanto una serie di film comici, e sarebbe oltremodo banale dire, come è stato fatto più volte, che rappresenta il nucleo della cosiddetta "toscanità". I film pongono i protagonisti davanti ai problemi della vita di tutti i giorni, dai più banali come la scelta di un film da vedere ai più seri, come addirittura la morte di uno di questi al termine del primo, e questi, ogni volta, si trovano davanti al dubbio amletico, espresso da Phili Noiret, che impersona il Perozzi, un giornalista, se la vita sia un gioco oppure una condanna ai lavori forzati.

E la scelta, se si va ad analizzare ogni situazione proposta, non è mai scontata: è vero che proprio il Perozzi, ad esempio, finge di essere gobbo, puntando quindi sull'aspetto fisico, per chiudere una situazione sentimentale, ma è anche vero che Ugo Tognazzi, ovvero il decaduto Conte Mascetti, nel secondo atto della saga decide di riconoscere il nipote che la figlia gli darà a seguito di uno stupro subito in fabbrica, salvo poi recarsi a Pisa mettendo in allarme una folla di turisti per l'imminente crollo della torre.

Il gusto difficile di non prendersi mai sul serio: ecco quello che Moschin e compagni hanno espresso in ogni singola scena, in ogni singola battuta: non affrontare la vita con superficialità, come pensano in molti, ma essere consapevoli che, proprio di vite, una ne abbiamo e sarebbe sciocco sprecarla vivendo come partecipi di un'orgia di doveri familiari, lavorativi, parentali, scolastici e chi più ne ha più ne metta.

Le situazioni si affrontano, ma con il giusto animo, la giusta serenità e, senza dubbio, anche la giusta ironia.

Ecco perché non ci si stancherà mai di guardare le gesta del Melandri e dei suoi amici, ecco perché non è giusto considerarli soltanto come protagonisti di momenti di mera comicità. Ora il Melandri ha raggiunto gli altri: se veramente esiste un qualcosa oltre la vita, sarà bello immaginarlo entrare all'improvviso in un altro Bar Necchi, dove Duilio Del Prete, Renzo Montagnani, Adolfo Celi, Philip Noiret ed Ugo Tognazzi lo stanno aspettando, giocando a biliardo.