Colli independent art gallery apre la stagione autunnale con una retrospettiva, fino al 28 ottobre, curata da Daniela Cotimbo e incentrata sulle installazioni fotografiche di Massimiliano Tommaso Rezza. L’artista si prefigge l’intento di decontestualizzare immagini virtuali ricomponendo un nuovo costrutto visivo.

Poetica di Massimiliano Tommaso Rezza

Classe 1967, farmacista diplomato, il suo imprinting da fotogiornalista viene ben presto accantonato per suggellare un patto con l’universo onirico degli scatti fotografici.

La sua fonte d’ispirazione è racchiusa nel materiale fotogenico esule da tensioni “estetizzanti”, come immagini amatoriali, ritratti di vita quotidiana, repertori di stampo tecnico. In particolare, significativi alcuni inserti multimediali tratti da documentari degli anni ottanta, dove un certo rigore di stampo politico-sociale, affine alla sobrietà ideologica cattolica e comunista, collimano con l’esigenza di verità di Rezza che contesta gli artifizi del puro intrattenimento. Il suo lavoro è sistematico ed è improntato sull’accumulo seriale di scatti, frame, nel perdurare del tempo, senza la pretesa di dare delle risposte, ma solo con il fermo obiettivo di porsi delle domande.

Un’eterna ricerca che mira a imbrigliare l’attimo, decostruendolo, per eliminare quello che scontatamente l’occhio umano vede di per sé, e ricontestualizzarlo in un altro da sé. La commistione e la contaminazione sono le parole d’ordine. L’artista lavora senza pregiudizi estetici di sorta e si allontana da una concezione della “fotografia da cavalletto”, sposando un’idea più complessa ed eterogenea che vivifica il repertorio scattato.

La mostra e l'idea

Rezza prende spunto per le sue installazioni dall’opera di Alfred Kubin, Die andere Seite, che dà il titolo a questa mostra. Il romanzo descrive luoghi imponderabili, evocativi, dimenticati, ove l’assenza di colore livella l’atmosfera densa di malinconia, severa e imperturbabile.

Quest’aura avvolge il nucleo di opere esposte alla Colli independent art gallery, che nel suo elegante minimalismo, si rivela una cornice perfetta per queste installazioni fotografiche. Immagini estratte dal loro abituale contesto visivo, quale il mondo del web, vengono ricollocate, ritagliate, rielaborate in una nuova piattaforma. Il focus dell’artista è il potenziale che possiedono questi frammenti, la sua premura è di raccoglierli sistematicamente e riproporli in un nuovo sequel, senza tempo né luogo. La sensazione che conferisce allo spettatore è d’inquietudine e vaghezza, di un eterno interrogativo, privo di giudizio.

L’ambiguità e il senso di attesa, quest’ultima ineluttabile, senza una fine, come in “Waiting for Godot”, una consapevolezza di una “non finitezza” e la sua consacrazione.

In minima parte si percepisce un velato accenno provocatorio, ai fini di svelare la schiavitù collettiva al mondo virtuale che impigrisce i sensi e abitua al vedere passivamente solo ciò che vi è innanzi, non considerando il potenziale visivo insito in ogni immagine. Il senso di questa esposizione non è di stampo concettuale, ma il vettore alla base è il puro accostamento formale, l’illusione ottica, dominati da un’assenza di presa di posizione critica da parte dell’artista, sebbene sia proprio questo tacere a creare in chi osserva dubbi e riflessioni sul mondo globalizzato odierno.