Nessun sollievo per i lavoratori che a causa della Legge Fornero che ha eliminato la pensione di anzianità ed ha innalzato pesantemente i requisiti per lasciare il lavoro, sono costretti a lavorare ancora diversi anni. Saranno delusi i comitati, i gruppi ed anche i sindacati che erano uniti nella richiesta di ottenere lo scivolo a Quota 41. Niente da fare neppure per l’allargamento del meccanismo APE anche ai precoci.

Per loro solo un mini intervento che tuteli le fasce deboli di questa categoria.

40 anni di lavoro sono pochi

Il lavoratore che ha iniziato a lavorare in giovane età, a causa della riforma del 2012, si è visto portare i contributi utili alla pensione da 40, a 42 anni e 10 mesi. Soggetti che avendo iniziato a lavorare molto giovani, con già 40 anni di contributi, sono costretti a lavorare ancora quasi 3 anni per riuscire ad ottenere la pensione. Immaginiamo lo sgomento per un lavoratore che magari nel 2012 aveva maturato 35 anni di contributi, che con le vecchie norme sarebbe andato in pensione nel 2017 ed invece deve attendere il 2020 per lasciare il lavoro.

Il lavoro dei comitati e dei gruppi è stato incessante ma per via dei costi esorbitanti che secondo la ragioneria di Stato, avrebbe la quota 41 per tutti, nulla si è potuto fare. Sono troppi i lavoratori che, avendo 40 anni di contributi, uscirebbero tra il 2017 ed il 2018 e lo Stato non può permetterselo.

Il problema coperture non regge?

Le coperture finanziarie sono l’ostacolo alle prerogative dei precoci, almeno questo quello che fanno passare dalle stanze del Governo. A vederla con occhi più tecnici però, la scusa sembra non reggere, o almeno non essere così drammaticamente radicale come vogliono farla passare. Mandare un soggetto in pensione prima, a quota 41 invece che a 42 anni e 10 mesi, assegna ai lavoratori una pensione più bassa.

I contributi versati dai lavoratori saranno di meno perché mancherà la copertura contributiva per quell’anno e 10 mesi di anticipo. Appare evidente che con quasi due anni in meno di contributi versati, i pensionati percepiranno un assegno inferiore che significa risparmi immediati e nel lungo termine per le casse dello Stato. Quando invece si parla di mandare in pensione prima i lavoratori, si valuta solo l’esborso immediato e non si considera nemmeno i benefici in termini di contributi versati che produrrebbe il ricambio generazionale, con giovani che oggi gravano sulle casse dello Stato perché disoccupati e bisognosi di sussidi ed invece inizierebbero ad essere produttivi, lavorando e versando contributi.

APE ai precoci impossibile?

Da indiscrezioni prima degli incontri, sembrava che ci fosse una idea di estendere l’APE anche ai precoci. Si valutava se consentire attraverso un prestito bancario, come il meccanismo dell’APE insegna, ai lavoratori precoci di lasciare il lavoro raggiunti i 41 anni di contributi. In parole povere, si concedeva a questi lavoratori di vecchia data, di uscire con due anni di anticipo indebitandosi con una banca. Qui il problema è stato della rata di debito da restituire, se dovesse essere caricata ai lavoratori o se, alla stregua della APE social, sarebbe stata a carico dello Stato. Nulla da fare, perché il Governo, per rispondere alle esigenze dei precoci interverrà con un provvedimento a metà tra il previdenziale e l’assistenziale, la quota 41 ai disagiati.

Le modalità però sono poco chiare e difficili da ipotizzare e comprendere. Innanzi tutto saranno necessari 12 mesi di versamenti prima dei 19 anni di età. Inoltre bisognerà alternativamente essere disoccupati, invalidi o svolgere attività usuranti. Le domande adesso sono: disoccupati anche dell’ultima ora o di lunga data? Invalidi di che tipo e con quale grado di disabilità? Quali attività saranno considerate pesanti? In questi pochi giorni che mancano alla Legge di Bilancio (entro il 30 ottobre?), il Governo riuscirà a dare risposte? E meno male che il pacchetto Pensioni era già bello e pronto.