Giovedì 27 luglio, presso il Ministero del Lavoro è stato calendarizzato un nuovo incontro tra Governo e sindacati in materia previdenziale e sulle politiche del lavoro. Due cose che sembrano andare di pari passo, con la necessità di intervenire radicalmente su un sistema che tiene le persone troppo tempo al lavoro, che ne rimanda l’accesso alle pensioni e che provoca evidentemente, l’impennata dei tassi di disoccupazione giovanile.
Il ministro Poletti quindi, ha invitato i segretari generali di Cgil, Cisl e Uil al nuovo summit che prima della pausa estiva, metterà i puntini sul lavoro svolto fino ad oggi sulla fase 2 di riforma previdenziale, sulle misure già in vigore e su quelle che partiranno o che si prepareranno in vista della prossima manovra di Bilancio autunnale. Un occhio di riguardo anche alle politiche sul lavoro, con una nuova proposta che proprio Poletti presenterà ai sindacati.
La previdenza in alto mare
L’incontro verterà su un doppio binario, con la prosecuzione della discussione sulla fase 2 di riforma e sul completamento delle novità previdenziali provenienti dall’ultima manovra finanziaria.
L’Ape sociale e quota 41 sono misure già attive per le quali, la prima tornata di domande è scaduta lo scorso 15 luglio. L’avvio di queste due misure è stato un successo, confermato dall’enorme numero di istanze presentate, ma le due misure non sono esenti da problemi. Le coperture economiche non sono sufficienti proprio in virtù del numero di istanze presentate, che se tutte accolte, non potrebbero essere tutte accettate, proprio per via delle scarse risorse stanziate nella Legge di Stabilità
. Trovare una soluzione alle coperture è uno dei punti di cui si tratterà nel summit, per evitare che soggetti che avrebbero i requisiti per accedere alle pensioni anticipate, vengano rimandati al 2018.
Senza dimenticare poi il problema di coloro che non rientrano nelle misure perché hanno i requisiti anagrafici e contributivi, ma sono fuori per i vari paletti inseriti o per le interpretazioni ristrette della normativa da parte dell’Inps. Paletti che per esempio, escludono sia da Ape Social che da quota 41 quelli che non avevano i requisiti per accedere alla Naspi o che vengono da perdita del lavoro per scadenza contratto. L’Ape volontaria, cioè il prestito bancario per soggetti con 63 anni di età e 20 di contributi, attende ancora la pubblicazione del decreto attuativo (probabilmente a fine estate). Ancora oscuri i punti relativi agli interessi da pagare per il prestito, per le spese assicurative e per le detrazioni fiscali che dovrebbero salvaguardare parte della pensione futura che sarà penalizzata per i beneficiari.
Fase 2
Nelle ultime ore si sono susseguite notizie e proposte relative alla pensione di garanzia per i giovani, attuali lavoratori più o meno precari e probabili pensionati poveri futuri. Si pensa di inserire una pensione di garanzia per coloro che hanno 20 anni di contributi. La pensione dovrebbe essere di almeno 650 euro al mese, per poi salire di 30 euro, sempre per mese, ogni anno di contributi versati superiori ai 20, entro il tetto massimo di 1.000 euro. La pensione di garanzia viaggia su un binario parallelo alle politiche sul lavoro che mirano ad agevolare i giovani a trovare un impiego stabile. Proprio le politiche del lavoro saranno altro argomento del confronto, con Poletti che ha ribadito (e lo confermerà sicuramente ai sindacati), la volontà del Governo di abbattere il cuneo fiscale in modo tale da agevolare le aziende che vogliono assumere un giovane.
In pratica, si cercano vie per consentire di abbattere il costo del lavoro stabile rispetto al precariato, soprattutto per i giovani che oggi trovano lavori saltuari, precari e che sortiranno l’effetto di non raggiungere i contributi per avere pensioni dignitose in futuro.
Una soluzione sarebbe rendere strutturale, quindi perenne, una decontribuzione del 50% del costo dei contributi per le aziende che assumo giovani. Si passerebbe dal 33% circa al 15% e per 2 o 3 anni di tempo. Altro argomento caldo infine, sarà l’aspettativa di vita e come trovare la soluzione ai paventati scatti che dal 2019 e per gli anni a seguire, potrebbero portare la pensione ad essere percepita a quasi 70 anni di età. L’idea è di non applicare a macchia d’olio questi aumenti di requisiti, ma congelando o diminuendo questi parametri, in base al lavoro svolto.