In queste ultime settimane, tra conferme e smentite, tra rinvii e priorità, il tema pensioni sembra che entrerà di diritto nella prossima Legge di Bilancio. Sembrava che l’intervento riformatore sulle pensioni dovesse venire sacrificato sull’altare delle politiche di rilancio occupazionale dei giovani, ma nelle ultime ore, pesanti prese di posizione hanno riportato la previdenza al centro della discussione.
Prima i sindacati e poi Renzi e Damiano hanno sottolineato come mettere in contrapposizione lavoro giovanile e pensioni non sia una pratica possibile. Le due cose vanno di pari passo e non si possono attuare politiche rivolte all’occupazione senza toccare le pensioni. Ecco che già domani, 30 agosto, nel summit previsto tra Governo e sindacati in materia previdenziale, si parlerà di cosa fare nella prossima Legge di Bilancio che ad ottobre dovrebbe iniziare ad essere discussa.
Donne e giovani
Come riporta un articolo della nota agenzia di stampa “Adnkronos”, al centro del confronto tra Cgil, Cisl, Uil e Governo di domani, c’è sempre la fase 2 di riforma previdenziale, con le pensioni di garanzia per i giovani di oggi.
Si tratta di soggetti che hanno iniziato a lavorare dopo il 1996, cioè nel sistema contributivo che di fatto li penalizza. Precariato, disoccupazione e lavoro discontinuo sono autentiche piaghe sociali che non permettono ai giovani di lavorare stabilmente e maturare lunghi periodi di contribuzione ai fini pensionistici. Il fatto poi che le pensioni vengano calcolate con il sistema contributivo, quindi proprio in base ai contributi versati, mette questi soggetti a rischio povertà quando sarà il momento della quiescenza. Per rendere più dignitose i futuri assegni pensionistici, si valuta l’inserimento nel sistema della pensione minima da 600 euro circa a partire da 20 anni di contributi. Una pensione minima maggiore del trattamento minimo oggi previsto che andrebbe coadiuvato da una detassazione della previdenza complementare, sempre nell’ottica di aumentare le indennità future ai giovani di oggi.
Anche gli argomenti donne lavoratrici e future pensionate avranno importanza nell’incontro e nelle mosse previdenziali future. Anche loro, troppo vessate da un sistema contributivo che già con la misura di opzione donna dimostra il pesante sacrificio richiesto. Penalizzazioni pesanti, anche del 35% per lo scivolo anticipato a lavoratrici che per uscire a 57 anni e qualche mese, accettano il calcolo della pensione con il contributivo, anche se parte dei versamenti erano nel retributivo e misto.
Ape social e quota 41
Le donne dicevamo, cioè quelle lavoratrici che spesso sacrificano la carriera ed il loro lavoro per la cura della famiglia. Soggetti questi che proprio per i lavori di cura non riescono a raggruppare i contributi degli uomini.
La politica vuole concedere sconti a queste lavoratrici, a partire dalle condizioni di accesso alle due novità previdenziali appena lanciate, cioè Ape sociale e quota 41. La proposta che i sindacati faranno nell’incontro segue l’idea che già balena nella testa dell’Esecutivo, cioè scontare di 3 anni l’età di accesso all’Ape sociale o di altrettanti anni di contributi versati la quota 41 per i precoci. L’Ape sociale per le donne si centrerebbe a partire dai 60 anni di età. La formula dello sconto potrebbe anche essere legata alle gravidanze delle lavoratrici, con un anno di sconto ogni figlio per esempio. Si inizierebbe con l’Ape per poi estendere lo sconto anche alle altre misure dell’ordinamento previdenziale perché i lavori di cura familiare dovrebbero essere coperti ai fini previdenziali.
Infine, nonostante la ragioneria di Stato e l’Inps abbiano suonato l’allarme per quanto concerne il blocco degli adeguamenti all’aspettativa di vita per le pensioni, molti spingono per congelare o eliminare il paletto. La pensione dovrebbe salire a 67 anni dal 2019, una impennata in controtendenza con il resto d’Europa, dove, come dice Adnkronos, l’età media di accesso alle pensioni è di 64 anni e 2 mesi e scende a 63 anni per le donne.