Continua a tenere banco la questione del rinnovo del contratto dei lavoratori statali, soprattutto quelli del comparto Scuola. Stavolta non si tratta del mancato rinnovo o dell’attesa per vedersi accreditare le spettanze, perché sono elementi questi ormai superati, come confermato da NOIPA sul suo sito ufficiale. Infatti con un comunicato del 4 maggio NoiPa ha confermato che a maggio a tutti i lavoratori verranno corrisposti gli arretrati spettanti per via del nuovo contratto nato con decorrenza 1° gennaio 2016.

All’emissione speciale del cedolino con gli arretrati, a giugno farà seguito l’adeguamento degli stipendi alle nuove tabelle retributive previste dal rinnovo. La partita, però, come largamente ipotizzato da tempo, non finirà qui perché adesso il problema riguarda le cifre, ovvero i soldi che finiranno nelle tasche dei lavoratori. Pochi spiccioli secondo molte sigle sindacali rispetto a quanto perduto dai lavoratori durante un decennio circa di blocco dello stipendio.

Pochi soldi

“Non rimane che attivare la battaglia nei tribunali”. Questo è quanto ha dichiarato da Marcello Pacifico, Presidente dell’Anief, come riporta l’edizione digitale del 9 maggio del quotidiano “Il Messaggero”.

Pacifico contesta le cifre di aumenti che finiranno nelle tasche dei dipendenti della scuola a partire da giugno. Si tratta di cifre che, secondo l’Anief, sono irrisorie rispetto all’abbondante 8% che statisticamente e come calcolato anche dall’Aran, sembra abbiano perduto i lavoratori come potere di acquisto del loro stipendio per il periodo di blocco, cioè dal 2008 al 2016. Una perdita che arretrati ed aumenti previsti non sanano, se non di poco. Il paragone con i lavoratori del settore privato, sempre secondo Pacifico, mette in luce ancora di più questa evidente discriminazione che avrebbero subito i lavoratori pubblici. Basti pensare che nel periodo del blocco stipendiale per i lavoratori statali, nel privato le retribuzioni medie dei lavoratori, perequazione dopo perequazione sono salite del 3,60%.

Le cifre reali

Il problema nasce dal fatto che le cifre nette che finiranno ai lavoratori porteranno aumenti stipendiali vicini a 50 euro a lavoratore. Un dato che fuoriesce dall’applicazione della tassazione alle cifre di aumento di cui si parlava, a partire da quelle 85 euro di aumento pro-capite uscite fuori dalla prima bozza di intesa tra sindacati e Governo del dicembre 2016. Aumenti anche da 110 euro a lavoratore che devono essere ridotte dell’11% per via della percentuale di contributi previdenziali a carico dei lavoratori e poi, ancora, del 36% di Irpef, oltre naturalmente alle addizionali comunali e regionali. Una forma di tassazione che essendo variabile, perché cresce al crescere dello stipendio percepito, porterà tutti i lavoratori, indistintamente tra ruoli e anzianità si servizio, a percepire poco più di 50 euro di aumento.

A questo va aggiunto che per gli anni 2016 e 2017, che sono quelli relativi agli arretrati del mese di maggio, l’aumento mensile è inferiore a quello del 2018 e che, a copertura di questi due anni, verrà erogata una somma una tantum intorno a 300 euro a lavoratore. Ecco perché dall’Anief e dal suo Presidente appare probabile l’avvio di una azione legale per consentire ai lavoratori di non subire questo ennesimo “schiaffo”.