Il riformismo, è stato detto, è un metodo. Un metodo attraverso cui tentare di cambiareil presente per tendere a una maggiore giustizia sociale futura. Guidare ilcorso delle cose in ottica futura, quindi, non subire il cambiamento per forzadi cose o come qualcosa di inevitabile. È questa l'idea che ha semprecontraddistinto la sinistra riformista e che l'indiscusso leader del socialismoe riformismo italiano, Pietro Nenni soleva sintetizzare in: "è portare avantichi è nato indietro".

Ma da vent'anni, la sinistra italiana vive una pesantecontraddizione. È, infatti, almeno a parole, riformista, ma nei fatti si è dimostrata,troppo spesso, come una tutela di interessi predefiniti volti tutti a mantenerelo status quo. Conservatori, quindi, non riformisti, potrebbe a questo puntodire qualcuno giustamente. 

La Seconda Repubblica, quando sarà materia di storici, sarà sicuramente definitacome "vent'anni di tempo perso", sarà ricordata per le sue contraddizioni e perle leggi "ad personam" di Berlusconi e sarà ricordata soprattutto per leriforme non fatte ma annunciate.

Sarà ricordata per l'incapacità di Berlusconi di mantenere le promesse al Paese e non all'altezza per compiere la tanto agognatarivoluzione liberale e per una sinistra stantia, poco incline al cambiamento, conuna cultura nata sotto le ceneri di Mosca e del crollo del muro di Berlino mafiglia della rivoluzione di Mani Pulite, cosa di non poco conto, questa, chemeriterebbe un approfondimento.





Le polemiche d'inizio anno tra il Sindaco di Firenze e Segretario del Pd MatteoRenzi e l'On. Stefano Fassina, che hannopoi portato lo stesso Fassina alle dimissioni da viceministro dell'economia delGoverno Letta, sembrano, infatti, rimarcare esattamente la storica discussioneche ha visto la sinistra protagonista  (ovittima), sin dalle origini. Ma se un tempo, la sinistra, si divideva inmassimalisti e riformisti, oggi è sempre più evidente che, la distinzione è trariformisti o progressisti, e conservatori, considerazione, questa, avvaloratadal fatto che Fassina, come tanti altri a sinistra (da Vendola a mezzo PartitoDemocratico, passando per la CGIL), spesso si lascia trascinare in battagliedogmatiche; ne è prova la discussione sull'art.18 dello Statuto dei Lavoratori,realizzato dal socialista Brodolini, che c'entra poco con la illicenziabilitàsenza giusta causa, disciplinata, infatti, dalla legge 604 del 66, quellostesso Statuto dei Lavoratori che non fu votato, in Parlamento, dagli antenatidi quella sinistra, che senza argomenti e un po' spaesata, oggi lo difende aspada tratta. 

Di certo, Renzi è per molti "sotto osservazione" ed è sottoosservazione da parte di quanti a sinistra hanno vissuto con sofferenza ilconservatorismo di Occhetto, D'Alema, Veltroni, Rosy Bindi & Co.

Spesso ha nel suo percorso qualche 'curva' demagogica, ma dicerto rappresenta una maniera moderna di intendere la politica e "nuove" idee. Unamentalità che chiunque ha provato a portare nel "dibattito della sinistra" èstato accusato di eresia. Marco Biagi, prima, Ichino dopo: eretici, nellamigliore delle ipotesi, traditori, nella peggiore.  Ma, basterà solo Renzi? O la vera esigenza, per una sinistra vincente, primaancora del leader è l'identità? E quale identità se non quella storica dellesocialdemocrazie europee: socialista, democratica e libertaria capace diconiugare diritti sociali e diritti civili? Al futuro prossimo, "l'ardua sentenza".