Questo breve articolo nasce dopo aver letto un pezzo magistralmente scritto dal giornalista Ludovico Arte, all'interno delle pagine dell’edizione locale di Firenze su Repubblica. In controtendenza rispetto all'attualità per quanto riguarda i molteplici casi di scarso rendimento e dell'irrequietezza degli studenti all'interno delle scuole, finalmente si fa luce su alcuni aspetti che riguardano, aprioristicamente, l’empatia o la repulsione che molti insegnanti hanno nei confronti di alcuni dei loro alunni.

La scuola non è un’azienda. E' un luogo dove si instaurano relazioni tra risorse umane

Nonostante i molteplici e controversi punti contenuti all'interno della nuova riforma scolastica renziana, cioè quelli relativi al bonus degli insegnanti più meritevoli o quello relativo dell’ingresso delle aziende private all'interno della Scuola, bisogna sottolineare come questo comparto della P.A. sia un settore a se stante. Non potrà mai, per questo, riformarsi compiutamente perché il pilastro fondamentale su cui si basa questo articolato settore lavorativo affonda le sue radici sul presupposto che gli attori principali che lo costituiscono sono rappresentati da risorse umane e che i loro rapporti sono governati dal buon senso, dalle buone azioni e dagli stati d’animo, difficilmente vincolabili da norme o regolamenti.

Alcune testimonianze confermano la nostra tesi: spesso si tende ad etichettare gli alunni

La delicata tematica affrontata descrive compiutamente e con originalità una lunga carrellata di esperienze vissute da molti operatori della scuola in vari momenti didattici e attraverso i differenti ruoli che gli stressi hanno vissuto nel corso di questi anni. Subito, ci si accorge di trovarsi difronte ad una vera e propria rivelazione. I rapporti tra gli alunni e gli insegnanti, spesso, sono inficiati dalla qualità della relazione che si instaura tra le due parti, a prescindere dal ruolo che ognuno ricopre. Le esperienze raccontate dal giornalista di Repubblica, leggendo il suo breve testo, ricalcano in molti punti quel tipo di avvenimenti che molti insegnanti vivono quotidianamente tra i banchi di scuola.

Per esempio, una docente descrive come può notevolmente cambiare il rendimento di un alunno poco avvezzo allo studio (apparentemente) in base al tipo di approccio e alla qualità della relazione che si instaura tra loro. A tal proposito, si cita testualmente: «Ho chiesto alla classe di preparare una presentazione multimediale dell’ultimo argomento che abbiamo studiato. Lo studente che aveva sempre preso quattro stavolta mi ha sorpreso. Ha realizzato un video bellissimo. Mi è toccato mettergli otto». Un’altra insegnante, invece, parla della sua esperienza durante una gita scolastica e dice: «Sono emersi aspetti dei nostri studenti che non conoscevamo. Si è creato un rapporto intenso anche con chi era in aperto conflitto con noi.

Ci siamo conosciuti meglio e adesso c’è più rispetto».

Fasce di livello e classificazione: tutto sbagliato

Ebbene, questo argomento è quello più dibattuto tra i docenti nei loro momenti collegiali. Spesso, capita che aprioristicamente si tende a sottovalutare le potenzialità di uno studente solo perché lo stesso non risponde agli input iniziali dell’insegnante di turno e stenta a partecipare attivamente su una particolare tematica a cui lo stesso educatore tiene particolarmente. Si tende poi ad etichettare lo stesso alunno ogni qual volta bisogna valutarlo; il risultato, chiaramente, non può che confermare l’impressione iniziale e ipotizzata durante le precedenti esperienze. Secondo lo stesso Ludovico Arte, infine, percorrendo questa strada si corre un rischio molto grave, cioè quello che le apparenti sicurezze della scuola riveleranno, prima o poi, le sue stesse fragilità.