L'instaurazione del regno per metà salviniano, fatto di promesse elettorali per il momento largamente non mantenute, lotte civili che riguardano una microscopica porzione della popolazione italiana e l’improvviso affetto per nutrite fette di popolazione che solo poco tempo fa erano considerate “quasi umane”, ha un fondamento specifico, totalizzante e storicamente italiano: la Politica come tifo.
In Italia, ormai da generazioni, andare a votare non significa più esprimere un’opinione formale e abbracciare un programma politico, magari in linea con i propri ideali e con la propria cultura e volontà di informazione. Votare, oggi, non è molto dissimile dal sedersi su di un sedile e assistere ad una partita di calcio o di un qualsiasi altro sport. La cosa è grave? Assolutamente si. Politica deriva dal greco antico politikḗ ("che attiene alla pόlis", la città-stato), con sottinteso téchnē ("arte" o "tecnica").
Insomma, politica è arte e tecnica utile ad amministrare e gestire una comunità di persone con annesse necessità, doveri e diritti.
Quindi, almeno in teoria, votare dovrebbe significare dare il proprio, personale e ragionato supporto ad un programma politico multi-disciplina che dovrebbe indirizzare le immense risorse pubbliche a disposizione verso il miglioramento della vita di chi già respira, ma anche di chi respirerà in futuro. Perché dunque tifare in cabina elettorale è pericoloso? Perché il tifo è una questione di pancia, più che di testa. E, proprio la nostra storia passata, ci insegna che agire di stomaco significa innescare processi venefici, spesso distruttivi e culturalmente difficili da estirpare una volta che hanno affondato le proprie radici. Ma si sa, il popolo italiano non è esattamente un campione di memoria storica.
Memoria Storica
Processi come il fascismo, di cui nemmeno i neo-fascisti moderni hanno probabilmente ben chiari i reali risvolti culturali, anche i più semplici e immediati. I dogmi dell’italianità assoluta come fanno a convivere con predicatori del ventennio (o presunti tali) che sproloquiano su piattaforme possedute da multinazionali estere? Piattaforme che, con ottima probabilità, sarebbero censurate o addirittura totalmente vietate da un ipotetico regime fascista, perché non direttamente controllabili e “non italiane”. Come fanno costoro a decantare il mito della razza, idea di stampo medievale, assolutamente antiscientifica e che produce disordine e violenza sociale a non finire, se a partire dagli anni ‘50 miriadi di studi scientifici ne hanno dimostrato l’assoluta infondatezza?.
Altro tifo vestito da politica. Altro anacronismo portato avanti sfruttando i moti di stomaco di persone arrabbiate e tradite. Altro cibo dato al rancore e all’indignazione della domenica pomeriggio, con buona pace (ancora una volta) della memoria storica che l’italiano medio non riesce proprio a deglutire.
La politica si è tramutata in tifo anche e soprattutto per questo, la rabbia. La rabbia di una popolazione sempre più povera a causa di una mala gestione della cosa pubblica, dovuta ad una classe dirigenziale e politica spesso impreparata, inadeguata e alle volte anche succube di logiche che fuoriescono dalla “semplice” gestione dello Stato per lo Stato. Ma l’impreparazione e lo scarso bagaglio culturale sono semplicemente l’espressione di un fenomeno sociale riflesso piuttosto vasto, da taluni battezzato come “analfabetismo funzionale”, che studi recenti hanno anche efficacemente profilato in una persona di almeno 55 anni, poco istruita e con mansioni lavorative che richiedono una scarsa qualificazione.
In Italia, stando alle statistiche, circa il 30% della popolazione rientrerebbe in questa classificazione: in soldoni, circa 10 milioni di persone nella penisola esprimono un parere politico senza avere gli strumenti culturali necessari per comprendere appieno un libretto delle istruzioni o distinguere una notizia vera da una montata ad arte.
Il fenomeno è ovviamente correlato ad anni di politiche d'istruzione sbagliate e mirate più ai tagli e alla formazione di figure da inserire nei grandi meccanismi capitalistici, piuttosto che all'espansione e al potenziamento delle strutture atte a trasferire conoscenze e non solo competenza. Una scuola che, nel tempo, ha perso fondi e per sopravvivere ha dovuto cercare ausilio nel privato, diventando poi una naturale "partner" (per non dire subordinata) di quelle logiche liberiste tanto care a chi detiene la reale ricchezza del pianeta.
Il rancore che riempie le cabine elettorali
Ma se la rabbia e l’ignoranza sembrano dominare incontrastati, la colpa è anche dei media. Tendenzialmente servili e di parte già da tempo, che spesso ignorano o riportano parzialmente questioni, notizie e criticità politico-economiche di pubblico dominio, schiave del sensazionalismo e affamate di click. Nonostante ciò, molte testate italiane cercano tutt’oggi di produrre articoli di un certo rilievo e onestà ma, anche in questo frangente, i problemi non sono pochi. Non è un caso se, leggendo il rapporto sulla libertà di stampa pubblicato dalle organizzazioni partner della Piattaforma del Consiglio d’Europa per la protezione del giornalismo e la sicurezza dei giornalisti, l’Italia figura ai primissimi posti come casi segnalati di minacce e tentativi d’aggressione ai danni di giornalisti intenti nel loro arduo mestiere, al fianco di paesi che non brillano esattamente per libertà d’espressione (Russia, Turchia e Ungheria).
Guardando i dati della classifica redatta da Report senza frontiere, l’Italia ha occupato nel 2018 il 46esimo posto nella speciale graduatoria dedicata alla libertà d’informazione, piazzandosi leggermente sopra stati come il Belize (le cui prime elezioni democratiche avvennero a metà degli anni ‘80) e il Comore, piccolo stato dell’Africa Orientale sconvolto da decadi di instabilità politica e colpi di stato.
Il discorso potrebbe andare avanti ancora per molto, perché l’evoluzione tecnologica, civile e sociale non può “perdonare” né tanto meno ignorare il desiderio di taluni, spesso ingenuo o vittima del sensazionalismo, dell’impreparazione e dei classici schemi di propaganda volti a creare l’idea di un “uomo forte al comando”, di un ritorno ad un passato anacronistico, tecnicamente insufficiente e socialmente inadeguato.
Perciò, il chiaro messaggio dato dall’elettorato italiano, il quale sembra favorire contenuti semplicistici in risposta a problematiche complesse, non può esser normalizzato e reso “quotidiano”, in un contesto sociale in cui l’individuo non è una mera rotellina di un ingranaggio enorme, ma testa e volto di una comunità moderna, civile e socialmente all’avanguardia che è interessata a fornire i giusti strumenti culturali e vitali, per promuovere un’evoluzione non solo tecnica, ma anche e soprattutto di valori e idee.
La mano delle istituzioni
Uno stato civile non può consentire con assoluta leggerezza che i suoi cittadini si abbandonino a logiche emozionali, stomachevoli (in tutti i sensi) e non frutto di un adeguato livello culturale, perché, innanzitutto, una comunità è fondata sulla ragione scientifica, sul buon senso e su principi etici volti a salvaguardare la condizione del singolo e della comunità intesa come unione di singoli, aventi pari diritti e pari doveri, ma anche come unico, grande organismo.
Ecco perché, in questo senso, in Italia non si sta facendo nulla o quasi per arginare un pericoloso processo sociale, fondato su rabbia, scarso livello culturale e delusione generica che si nutre di assolutismi, sempre più vicina alle vicende che portarono all’affermazione di Mussolini sulla scena politica nazionale e internazionale. Anzi, il ribollire di odio, violenza e rabbia sociale è tranquillamente cavalcato da una serie di movimenti politici, in modo particolare provenienti dalla destra e l’ultra destra, i quali hanno compreso che cibare il rancore delle persone fornendo loro capri espiatori che poco c’entrano con anni di mala politica all’italiana, è poi sintomo di risultati elettorali strabilianti.
In estrema sintesi: come può una popolazione, per una buona fetta impreparata culturalmente per colpa di politiche sull'istruzione inesistenti, senza una reale pluralità di voci d'informazione e che poggia su di una classe dirigenziale inadatta, andare in cabina elettorale e scegliere con la testa e il buon senso? E' molto, molto difficile. E in Italia stiamo provando con mano cosa significa usare in malo modo il sacrosanto diritto al voto.