Dopo il primo giro di consultazioni, ciò che emerge e risuona nella bocca di tutti gli esponenti è l'esplicito distacco dalla poltrona, formulato in molteplici dichiarazioni. Così ha chiosato anche Di Maio in un'intervista per il Corriere della Sera: "Non mi importa della poltrona". Ciò che importa a Di Maio cos'è? Sono chiari i 5 punti di Zingaretti, meno chiaro il punto di vista capriccioso di Renzi, schizofrenico quello di Salvini.
Secondo le dichiarazioni del leader del M5S, la priorità è il taglio dei parlamentari. Scevro di uno sguardo critico, il taglio dei parlamentari fa esultare chiunque. I costi della Politica vanno abbattuti, dicono i più, ma a che prezzo?
Una minaccia alla rappresentatività territoriale
La riduzione dei parlamentari sicuramente determina un taglio al bilancio dello Stato, ma sottende un problema di grandissima rilevanza, che è quello della rappresentatività territoriale. Dietro i numeri e gli slogan c'è la democrazia. Se viene meno l'aggettivo che segue la parola democrazia, ossia rappresentativa, cosa rimane di essa? La garanzia della rappresentatività, d'altronde, è il sale delle democrazie contemporanee.
Dietro quest'infausta evenienza c'è un quadro che la giustifica. Il popolo italiano sta diminuendo, i giovani scappano dall'Italia, i servizi privati e soprattutto pubblici stanno diminuendo. Se le rappresentatività territoriali vengono meno, soprattutto nei piccoli Comuni, il problema non è solo una riduzione dei costi, ma molto più profondo e dai risvolti subdoli. Chi rappresenterà le istanze di base? Meno parlamentari andranno a Roma e meno saranno quelli che ascoltano le parole delle piccole popolazioni d'Italia.
Cosa prevede la riforma costituzionale e quali sono gli ostacoli
La riforma cavallo di battaglia di Di Maio era già in fase di approvazione prima che Matteo Salvini decidesse di aprire di soppiatto la crisi di governo.
Essa prevede la riduzione della Camera da 630 a 400 rappresentanti e il Senato da 315 a 200. In prima istanza, Salvini ha avallato la riforma in cambio dell'apertura della crisi all'indomani del voto. Tuttavia, una riforma costituzionale non è cosa spicciola, è lavorare sulle fondamenta di casa. Nessuno lo farebbe senza mettere in sicurezza il cantiere. Così vale per la Costituzione.
Giuristi e costituzionalisti, nonché il Presidente della Repubblica, hanno da subito fatto sapere al leader della Lega che questo percorso non è in alcun modo possibile, poiché non è possibile venir meno all'articolo 128. Poiché nessuno crede che Salvini non sappia quale sia l'iter di modifica costituzionale, si fanno largo i sospetti che il leader leghista abbia architettato una poco ragionata tattica dilatoria, consapevole che le elezioni prima della prossima primavera non si potranno tenere e forte dell'obiettivo principe, ossia capitalizzare il consenso popolare che sondaggi ed elezioni europee gli attestano.
La storia di questi numeri
La storia della riduzione dei parlamentari ha un'origine antica, che affonda nell'Assemblea Costituente. Tutto si basa sul concetto di rappresentanza e su quale è il rapporto di rappresentanza tra chi è in Parlamento e chi lo vota. I costituenti studiarono attentamente la questione. Si stava, d'altronde, uscendo dal fascismo e la rappresentatività era un cardine cruciale.
Si optò per un deputato ogni 80mila votanti e un senatore ogni 200mila votanti. Fino al 1963, pertanto, il numero del parlamentari non era fisso, ma dipendeva da questo rapporto. Dal 1963, i numeri parlamentari sono quelli attuali. Dal 1963 in poi, il numero dei parlamentari è rimasto lo stesso, mentre la popolazione è aumentata.
Nel 2001, inoltre, è stata introdotta la circoscrizione estero, che elegge dodici deputati e sei senatori.
Dietro questa riforma c'è un'idea di Stato pericolosa
Le democrazie parlamentaristiche, come il Regno Unito, dove il numero dei parlamentari è molto elevato, hanno un'idea di rappresentanza politica molto stringente. Vi è una Camera dei deputati che detta l'indirizzo politico e una Camera alta avente tradizione nobiliare. Essendo, inoltre, un sistema maggioritario uninominale, l'eletto è molto vicino al territorio. C'è pertanto una differenziazione della rappresentatività, assente in Italia.
Ma dietro questa riforma sembra nascondersi un'idea di Stato più volte ribadita dal M5S. L'idea di democrazia partecipativa per la quale il Parlamento può essere svuotato del suo valore poiché sostituibile da piattaforme più o meno trasparenti di democrazia popolare. Trattasi di un progetto pericoloso, cui va dato il suo nome: eversivo.