Esattamente lo stesso giorno del primo referendum, ma due anni dopo, il 23 giugno, gli inglesi hanno deciso di manifestare sulla questione Brexit: uscire dall'Unione Europea è la decisione giusta?. Londra ha visto quindi sfilare per le sue strade due cortei di uno stesso popolo, ma con idee diametralmente opposte: uno pro e uno contro la Brexit. I primi chiedono che il processo di separazione del Regno Unito dall'UE si concluda definitivamente.

I secondi una possibilità di ripensamento con un secondo referendum, avendo più dati per poter valutare i pro e i contro dopo l'eventuale accordo con l'UE.

I sostenitori della soft-brexit

Nel corteo contro la Brexit, sopra le teste dei manifestanti, hanno sventolato bandiere britanniche mischiate con gli stendardi dell'Unione Europea, ma anche con bandiere degli Stati membri dell'UE come Francia, Spagna e Germania. Gli studenti sui loro striscioni hanno inciso slogan come "usciamo dalla Brexit", ma alla manifestazione erano presenti manifestanti di tutte le età. Dopo aver percorso le principali vie di Londra, Il corteo si è infine fermato davanti al parlamento di Westminster dove, fra vari rappresentanti politici contro l'uscita dura del Regno Unito dall'UE, era presente anche Vince Cable, leader del partito Liberaldemocratico, che ha ribadito il diritto ad un secondo referendum una volta avvenuto l’accordo finale fra Londra e Bruxelles.

Queste le sue parole: “A quel punto sarà chiaro cosa significa veramente la Brexit e sarà giusto chiedere al popolo se vuole davvero lasciare la Ue oppure, fatti i conti, preferisce restarne parte”.

Il corteo dell'uscita dura

Il secondo corteo era riconoscibile invece per gli slogan inneggianti alla libertà. Libertà da Bruxelles, libertà dai burocrati, libertà dalla Germania. Emblematiche sono state le parole di un manifestante: "Abbiamo vinto due guerre ma siamo sempre schiavi della Germania". Fortemente nazionalisti, con abiti tipicamente british, come la giacca di tweed e la camicia a quadretti, durante tutta la marcia i manifestanti in favore della hard-brexit hanno cantato a squarciagola l'immancabile inno nazionale God save the Queen e chiesto il prosieguo delle trattative per il definitivo distacco, comunitario ed economico, della Gran Bretagna dall'Europa.

Theresa May nemico comune

Nei giorni successivi alla Brexit, la premier Theresa May aveva annunciato che il taglio da Bruxelles sarebbe stato il più drastico possibile, pagando anche un prezzo in termini economici e di sicurezza nazionale. Sì, perché nel referendum i cittadini del Regno Unito non hanno avuto alcuna parola sul tipo di Brexit desiderata ed è per questo che i sostenitori della soft-brexit chiedono al Primo Ministro di rispettare la volontà popolare ed indire un nuovo referendum dopo aver chiarito le condizioni concordate con Bruxelles. I secondi, invece, accusano la premier di essere stata troppo morbida davanti agli interessi dell'Europa e delle multinazionali e di non aver rispettato le promesse fatte subito dopo la Brexit. Allo stato attuale, dunque, il paese sembrerebbe ancora fermo al 2016, diviso più o meno alla a metà, come certificato da quel 51,9% a 48,1% del referendum sulla Brexit.