Un gruppo internazionale di neuroscienziati, guidato dalla professoressa Ulrike Müller dell'Università di Heidelberg in Germania, è riuscito nell'intento di far regredire alcuni dei danni strutturali e funzionali provocati ai circuiti nervosi dal morbo di Alzheimer, in un modello della malattia riprodotto nei topi. I ricercatori sono riusciti a ottenere questo importante risultato tramite un approccio genetico mirato a potenziare un meccanismo di autoriparazione dei neuroni che è indebolito nei pazienti affetti dal morbo. Il promettente studio è stato pubblicato di recente sulla rivista Acta Neuropathologica

Cosa succede ai neuroni nell'Alzheimer? 

Il morbo di Alzheimer è caratterizzato in prima battuta dal ridotto funzionamento delle sinapsi chimiche, che sono le strutture di contatto che permettono ai neuroni di comunicare tra di loro.

Il deficit di comunicazione tra i neuroni si traduce nell'atrofia delle loro ramificazioni, come i dendriti e gli assoni, e dalla loro morte con conseguente perdita di funzioni cognitive come l'apprendimento e la memoria. E' ampiamente accettato che questi danni siano causati dall'accumulo incontrollato e anomalo di una proteina che si chiama beta-amiloidela quale si deposita sotto forma di placche nello spazio che circonda i neuroni. La beta-amiloide è prodotta a partire da un'altra proteina, di dimensioni maggiori, che si chiama per questo motivo proteina precursore dell'amiloide o, per brevità, proteina APP. Tuttavia, in condizioni normali la proteina APP svolge una funzione di nutrizione e autoriparazione dei neuroni.

Tale funzione di neuroprotezione si perde nel morbo di Alzheimer.

Riparare i neuroni prima che muoiano

"Stiamo studiando da molto tempo la funzione di autoriparazione dei neuroni svolta dalla proteina APP" dice introducendo il suo lavoro la professoressa Müller "e sappiamo che nell'Alzheimer questa funzione è indebolita. Dunque, abbiamo pensato di aumentarne la produzione con un approccio genetico, ovvero amplificando il segmento di DNA in cui sono contenute le informazioni per produrla". I neuroscienziati hanno applicato il metodo in un gruppo di topi anziani in cui è stato indotto il morbo di Alzheimer e hanno misurato gli effetti in termini strutturali e funzionali. "Potenziare l'attività della proteina APP" evidenzia la professoressa Müller "ha risvegliato la capacità dei neuroni di apprendere, ha ripristinato in parte le sinapsi e, fatto davvero importante, ha restituito ai topi la capacità di memorizzare informazioni biologicamente importanti, come il percorso per raggiungere la tana".

Inoltre, i neuroscienziati hanno osservato una riduzione della quantità delle placche di beta-amiloide dovuta all'aumento dell'attività delle "cellule spazzino" del cervello. Nel loro complesso, questi risultati mostrano che potenziare l'attività della proteina APP può riparare i neuroni e ripristinare le funzioni cognitive quando il morbo di Alzheimer è già in corso e, dunque, può rappresentare un approccio terapeutico futuro di notevole rilevanza.