La "web Tax" meglio conosciuta come "Google Tax" che a fine 2013 il governo aveva provato a far approvare, ritorna di attualità. Dopo le critiche e le petizioni presentate dagli utenti di internet con il coinvolgimento dell'Europa, con l'avvicinarsi della scadenza di giugno, da qualche giorno in rete ricomincia la preoccupazione.

Ricordiamo che giugno è la data in cui è prevista la pronuncia della commissione di esperti che sta studiando il testo, come si può leggere dalla lettera di risposta ufficiale del commissario Kroes ,che trovate in versione completa sul sito salviamoilweb.it.

Ricordiamo il testo e i motivi per cui molti utenti si sono sollevati contro questa proposta. Al D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, dopo l'art. 17 è inserito il seguente art. 17-bis:



1. I soggetti passivi che intendano acquistare servizi online, sia come commercio elettronico diretto che indiretto, anche attraverso centri media ed operatori terzi, sono obbligati ad acquistarli da soggetti titolari di una partita IVA italiana.

In pratica le aziende italiane sono obbligate ad acquistare servizi online attraverso commercio elettronico diretto o indiretto solo da aziende italiane. Per Servizi Online si intende ogni tipologia di servizio fornito in modo automatico attraverso Internet.

Ad es. website hosting, amministrazione remota dei sistemi, download di app e musica sul telefonino, servizi di storage on-the-cloud a pagamento e anche l'acquisto di spazi pubblicitari sul web.

Nel Commercio elettronico diretto o indiretto rientra ogni acquisto di un bene materiale o immateriale tramite transazione online (es. acquisto su Amazon).

2. Gli spazi pubblicitari online e i link sponsorizzati che appaiono nella pagine dei risultati dei motori di ricerca (altrimenti detti servizi si search advertising), visualizzabili sul territorio italiano durante la visita di un sito o la fruizione di un servizio online attraverso rete fissa o rete e dispositivi mobili, devono essere acquistati esclusivamente attraverso soggetti (editori, concessionarie pubblicitarie, motori di ricerca o altro operatore pubblicitario) titolari di partita IVA italiana.

La disposizione si applica anche nel caso in cui l'operazione di compravendita sia stata effettuata mediante centri media, operatori terzi e soggetti inserzionisti.

Introduce la possibilità di blocchi eseguiti a livello nazionale e internazionale (possibile ad oggi solo e giustamente, per siti pedopornografici, di scommesse e truffe). Ogni sito presente su internet deve essere fruibile da qualunque nazione del mondo altrimenti introduciamo la censura come nei Paesi in cui c'è una dittatura e lo Stato decide cosa sia giusto leggere e sapere.

Presuppone infatti che un qualunque soggetto estero che abbia un sito con pubblicità, per essere in regola nel nostro Paese debba aprire una partita iva italiana.

3. Il regolamentare finazionario, ovvero il pagamento, degli acquisti di servizi e campagne pubblicitarie inline deve essere effetuato dal soggetto che ha acquistato servizi o campagne pubblicitarie online esclusivamente tramite lo strumento del bonifico bancario o postale, ovvero con altri strumenti di pagamento idonei a consentire la piena tracciabilità delle operazione ed a veicolare la partita IVA del beneficiario.

Per comprendere le implicazioni, si può pensare ad un acquisto online, che in caso di obbligo di pagamento con bonifico, necessiterebbe di una settimana perché il bonifico sia visibile e sarebbe anti-economico per i costi fissi che per alcune banche arrivano anche a 5.00 euro (in pratica il 99% delle transazioni su Ebay sarebbe impossibile).

Le conseguenze negative di questa legge sono molte e in un momento di crisi diventerebbero un ulteriore peso che la nostra economia non può sostenere; inoltre il gettito stimato da questa proposta di legge è veramente irrisorio rispetto al bilancio dello Stato, per cui ci si chiede quale sia il reale vantaggio.

Sarebbe auspicabile una radicale modifica del testo che salvi la libertà di accesso ad internet e disciplini solo gli aspetti fiscali senza porre limiti divieti che diventerebbero una forma di censura e un danno alle aziende anche italiane che operano con questo canale.