L’Agenzia delle Entrate-Equitalia, insieme alla Guardia di Finanza, quest’anno hanno deciso di rimodulare degli strumenti di controlli fiscali per meglio contrastare l’evasione fiscale e le frodi fiscali.
Tutto ciò attraverso una maggiore flessibilità dell’azione ispettiva fiscale nel suo complesso, mediante controlli mirati nei confronti dei liberi professionisti e dei dipendenti statali.
L’uso di nuovi strumenti per l’accertamento fiscale, come l’anagrafe tributaria usata in combinazione con il redditometro, permette appunto di rendere possibile un controllo capillare e su tutto il territorio. Gli strumenti che il fisco può utilizzare nel corso dell’attività istruttoria e di verifica fiscale sono le banche dati (anagrafe tributaria) o le richieste di informazioni dirette al soggetto sottoposto a controllo, ma anche l’intervento diretto presso l’abitazione, l’ufficio o i veicoli del contribuente. L’obbiettivo è comunque favorire l’adempimento spontaneo dei contribuenti e il contraddittorio ( per via del diritto di difesa), garantendo l’unitarietà d’intervento dell’amministrazione fiscale.
Controlli fiscali: ecco cosa deve sapere il contribuente sottoposto alla verifica
Il contribuente sottoposto alla verifica da parte dell’Agenzia delle Entrate, deve sapere che ha quindi il diritto al contraddittorio preventivo, ovvero deve essere sentito preliminarmente così da evitare l’emissione di avvisi di accertamento illegittimi. Nei rapporti fra contribuente e fisco vige infatti il principio dell’inversione dell’onere della prova, ovvero è sempre il contribuente a dover dimostrare la fonte dei suoi proventi o redditi.
Ricordiamo inoltre che sono stati allungati i termini per gli accertamenti fiscali, questo significa che il fisco ha più tempo per può passare al setaccio la dichiarazione dei redditi e verificare se c’è qualche reddito non dichiarato o altri tipi di irregolarità.
Chi nel 2018 riceverà un accertamento fiscale per dichiarazioni dei redditi anteriori al 2017 potrà applicare ancora il vecchio regime di 4 anni per le dichiarazioni irregolari e 5 anni per le omesse dichiarazioni. La riforma dei termini di decadenza degli accertamenti fiscali riguarda invece la dichiarazione dei redditi prodotti nel 2016, da dichiarare nel 2017. Solo a partire da tali date gli accertamenti fiscali potranno essere spediti entro 5 o 7 anni. Il termine dei controlli fiscali si conclude quindi il 31.12.2022 nel primo caso (per le irregolarità nella dichiarazione dei redditi) e il 31.12.2024 nel secondo caso (per l’omessa dichiarazione dei redditi).
Si amplia la platea dei soggetti mirino delle Entrate: controlli sugli autonomi
Un’altra importate novità riguarda l’estensione dei controlli fiscali anche su autonomi e professionisti (contestazione delle fatture inesistenti soggettivamente, recupero a tassazione delle spese che in apparenza risultano esenti, crediti di imposta ottenuti a seguito di agevolazioni). A tal proposito il Fisco ha apprestato delle strategie di controllo che puntano a ricostruire gli importi non dichiarati partendo da indizi più o meno probanti, ovvero attraverso il controllo di siti internet, di Instagram, di WhatsApp, Messenger, e delle fanpage di facebook di chi svolge un’attività professionale o commerciale. Ecco quindi che ove gli acquisti fossero superiori alle entrate di almeno il 20% scatta il sospetto e poi l’accertamento fiscale con il famoso reddittometro. Il contribuente in tali casi deve fornire la prova, attraverso bonifici bancari o altro, che ha percepito un reddito tale da sostenere le ingenti spese e che quindi queste sono coerenti con la dichiarazione dei redditi del professionista.
Allo stesso modo finisce nell’occhio dell’Agenzia delle Entrate chi lavora molto, ma fattura poco, figurando di lavorare gratis. Sebbene la Cassazione abbia detto che l’amministrazione finanziaria non può contestare le prestazioni rese dai professionisti a titolo gratuito a favore di parenti, amici, tuttavia è improbabile che ciò avvenga sistematicamente, tanto che che le attività professionali prive di compenso diventano superiori a quelle fatturate.
Il fisco in tali casi esegue un controllo tra le fatture attive in un determinato periodo di imposta e le informazioni nell’anagrafe tributaria relative ai redditi di lavoro autonomo percepito. Nell’occhio del mirino dell’Agenzia delle Entrate sono finite infatti circa 1,4 miliardi di fatture. Dopo il controllo, in tali casi verrà dunque inviata una comunicazione.
Il contribuente è tenuto a sanare la sua posizione oppure riportare i dati corretti. Seguirà eventualmente l’accertamento fiscale.
Un’altra incongruenza tra il reddito dichiarato e le spese sostenute, riguarda anche l’eventuale mutuo acceso con la banca per pagare l’acquisto dello casa allibita in parte a studio o gli addebiti del Telepass sulla carta di credito.
Il fisco nei confronti degli avvocati ad esempio può controllare i contenziosi instaurati dinanzi al Tribunale, civile e amministrativo, confrontandole con le fatture emesse dal professionista. Per difendersi contro l’elevato numero di prestazioni gratuite rese nei confronti di terzi clienti e parenti c’è bisogno di documentazione scritta, e quindi di lettere di incarico professionale ove, sin dall’inizio, il professionista dichiara per iscritto di rinunciare al compenso.
Il professionista deve poi dimostrare come la dichiarazione dei redditi e la contabilità espongono ricavi/compensi perfettamente in linea, e dunque coerenti e congrui, non sussistendo alcuna irregolarità formale.