Anche i robot possono essere licenziati. La prima sconfitta dell’IA, intelligenza artificiale, reca il nickname di Fabio, un robot assunto in un supermercato di Edimburgo con il compito di accogliere i clienti all’entrata e tentare di aiutarli nella ricerca degli alimenti.

L’esperimento condotto per la BBC si è rilevato un fallimento: Fabio, malgrado gli entusiasmi iniziali, è stato licenziato dopo appena una settimana.

Le motivazioni di tale provvedimento sono riscontrabili nell’inefficacia dell’automa appartenente alla famiglia dei robot umanoidi, plasmati secondo le fattezze umane. Nonostante agli esordi della sua nuova attività riuscisse ad interagire bene con la clientela, in un secondo momento sono emerse le differenze con i suoi colleghi umani che di gran lunga hanno superato le sue prestazioni riuscendo ad avvicinare un numero di 12 clienti ogni 15 minuti, mentre Fabio si fermava alla soglia di 2.

Inoltre le informazioni riguardo alla disposizione degli alimenti nel supermercato erano vaghe, non consentendo alla clientela di destreggiarsi a dovere, oltre ai problemi di comunicazione emersi a causa delle interferenze tra i microfoni di cui si serviva per recepire gli impulsi esterni e il rumore elevato dell’ambiente, rendendo così difficile la comprensione delle parole.

L’esperimento condotto dalla Heriot-Watt Unviersity's Interaction Lab, ha dato dei riscontri importanti anche in relazione al feedback ricevuto: molte persone preferivano di gran lunga avvicinarsi ad un commesso umano piuttosto che interagire con il robot, facendo emergere chiaramente quello che Isaac Aasimov ha enunciato quale complesso di Frankestain.

Il complesso di Frankestain: la paura dei robot

Una distanza ideale e materiale aumenta la distanza che separa l’uomo dalla tecnologia, nella misura in cui questa è percepita come potenzialmente dannosa o in grado di osteggiare il cammino lineare dell’essere umano, unico padrone incontrastato della Terra.

Le figure dei robot sono state spesso permeate nella rappresentazione fantascientifica da un’accezione negativa, designate per essere le naturali antagoniste degli esseri umani.

La narrativa pre-asimoviana risente dello stereotipo del robot quale incarnazione della tecnologia che sfugge al controllo dell’inventore, opponendosi alla figura di servo metallico e risultando un pericolo per gli inermi individui in balia della loro cieca rabbia.

Abbandonando i lasciti della produzione romanzesca, ciò che rimane è il cosiddetto complesso di Frankestain, in grado di percepire i prodotti dotati d’intelligenza artificiale quale rappresentazione speculare degli umani che suscita più di qualche malessere: a questo punto il robot diviene un capro espiatorio, individuato come centro unitario d’imputazione delle fobie che attanagliano gli uomini potendo essere potenzialmente un soggetto pericoloso in grado di rivoltarsi ai comandi imposti, oltre che un nuovo concorrente in ambito lavorativo, rappresentando una sorta di xenofobia 2.0.

L’automatonofobia, intesa quale paura di tutto ciò che imita l’essere umano, si accompagna al timore di vedere un lavoro sempre più automatizzato che escluderebbe a prescindere l’individuo umano, colpevole delle sue imperfezioni incompatibili con ritmi lavorativi logoranti.

La paura di un’automazione lavorativa non è del tutto infondata, considerando l’avvento tecnologico che ha coinvolto banche, aeroporti e commerci dotati di bancomat e check-in automatici che segnano un’evidente digitalizzazione del lavoro.

D’altra parte, per colmare le lacune provocate dall’inserimento dei macchinari in grado di svolgere mansioni plurime una volta destinate agli umani, sono stati creati nuovi lavori destinati agli uomini: in tal modo si dimostra che il lavoro non si perde, ma cambia, promovendo una cooperazione tra vecchio e nuovo, tra umano e tecnologico già ampiamente iniziata negli Stati Uniti, mentre l’Italia non risente ancora di questa ventata rivoluzionaria a causa dello scudo di una crisi che la rende un cattivo test.

L’uomo e il cambiamento: il monito di Bergoglio

Le inquietudini dell’uomo, se da un lato appaiono giustificate, dall’altro sembrano rispecchiare un conservatorismo innato sempre attento ad evitare di cadere in quel fiume in cui non ci si possa bagnare due volte, in cui la percezione sensoriale del dinamismo risulterebbe ostacolo al bisogno di certezza.

Questa posizione è riassunta dalle parole di papa Bergoglio inviate al forum economico mondiale di Davos, con le quali rivendica fermamente il ruolo centrale dell’uomo nella vita economica e tenta di mediare ipotizzando un possibile rapporto subordinato della robotica in funzione del bene e in rappresentanza dei diritti di ogni singolo individuo.

Il monito del papa è di fare attenzione a non metttere la tecnologia al primo posto nella scala gerarchica delle preferenze, in considerazione anche dei dati statistici preoccupanti che non vedrebbero tali innovazioni quali elementi di protezione della cosa comune e dell’umanità.

Pareri contrastanti al momento si battono sul terreno dell’innovazione. Sullo sfondo, tuttavia, si staglia l’immagine di Fabio che, a testa bassa, raccoglie i suoi cartoni e lascia il posto di lavoro tra i pianti dei colleghi e il sospiro di sollievo di alcune persone.

Probabilmente non sarà oggi che un robot ti soffierà il posto di lavoro.