Il talento vocale e cantautorale più straripante della storia di The Voice of Italy è senza dubbio quello di Simone Perrone. E poco importa se il suo rock-coach Piero Pelù ha dovuto sacrificarlo per seguire un copione già scritto che non porta a nulla, se non a sbagli evidenti che hanno oramai demolito la credibilità del talent show di Rai 2. Il cantautore e scrittore salentino prosegue la sua strada, nel pieno di una creatività incontenibile, e sfiora nuovamente il palco del Festival di Sanremo. Dopo il romanzo “Spremuta d’arancia a mezzogiorno” e il singolo “Silvia non lo sa”, che anticipa il suo album di debutto, è infatti la volta di “Dentro”.
Il brano cattura sin dal primo ascolto per la profonda intensità d'ispirazione e per l'elegante incontro tra cantautorato e modernità, ma non riesce ad entrare nel cast di Sanremo Giovani.
Sanremo: il sogno rincorso
Simone, tutte le volte che ti sei proposto come cantautore per il Festival di Sanremo sei stato convocato per le audizioni. Questa di per sé è già una soddisfazione importante e dal significato inequivocabile vista la concorrenza serrata, non trovi?
«Sicuramente fa piacere anche se, come nello sport, arrivare secondi non importa granché a nessuno».
Qual è il brano, tra tutti quelli con cui hai concorso, a cui sei più affezionato e quello con cui hai creduto di farcela?
«Quello a cui sono più affezionato è “Scuro”, con il quale ho concorso nel 2012, perché trattava del delicato tema degli anziani, e in particolar modo parlava dei miei nonni. Mentre “Dentro” mi ha lasciato ben sperare fino all’ultimo».
“Dentro” è il brano per Sanremo Giovani 2016. È stato un parto dolce o doloroso? A chi è rivolta l’intensità delle liriche e dell’interpretazione?
«Non c’è né dolcezza né dolore quando compongo, nemmeno quando si tratta di canzoni tristi. Mi reputo un futurista, per me ciò che conta è il momento proprio dell’atto creativo, e non il ricordo, bello o brutto, di ciò che lo genera. “Dentro” mette in luce la forza di un rapporto umano, quando si vuole bene a una persona a tal punto da voler condividere insieme a lei persino il suo dolore, che se ci pensi è la cosa più intima e preziosa che l’uomo ha nel suo bagaglio personale».
Il brano più che essere scelto da te per il Festival di Sanremo sembra essere stato scelto proprio da quest’ultimo. Pensi che la commissione artistica non si sia accorta di questa forte attrazione reciproca? Perché separarvi?
«È da tanto tempo ormai che sono in questo mondo; ho imparato, negli anni, a non farmi troppe pippe mentali. La commissione artistica aveva delle scelte da fare. Spesso queste scelte sono dettate anche da meccanismi che poco c’entrano con la musica stessa o con l’atmosfera del pezzo. Per cui c’è poco da dire a riguardo. Sanremo è come sempre un bel tentativo. Se va, va, se non va… Si continua a suonare, scrivere sempre e cercare nuovi modi e spazi per far arrivare le tue idee a quanta più gente possibile».
Nel talent show pre-Festival del 27 novembre è prevista anche l’esecuzione di una cover. Se fossi stato incluso nella rosa dei 12 finalisti, quale brano avresti reinterpretato per l’occasione e perché?
«Avrei interpretato “Firenze (Canzone triste)” di Ivan Graziani. Ivan è uno dei miei cantautori preferiti. Mi ci sono sempre un po’ rivisto, sia nella sua voce che nella sua maniera di scrivere, catalogabile sempre nel “pop commerciale”, ma con quei tocchi di particolarità, scelta linguistica e follia che nessuno si aspetta all'interno di una canzone».