Ieri sera sono andati in onda su Rai 3 i primi due episodi de “I topi”, la serie comedy scritta, diretta e interpretata da Antonio Albanese. Questa prima stagione, composta da sei episodi, è una coproduzione Rai Fiction – Wildside in collaborazione con Direzione Produzione Tv, Centro Produzione Rai di Torino.

A fianco del comico lombardo di origini siciliane ci sono Nicola Rignanese (U Stortu), Lorenza Indovina (nel ruolo della moglie Betta), Tony Sperandeo (zio Vincenzo), Clelia Piscitello (zia Vincenza) e, infine, Andrea Colombo (il figlio Benni) e Michela De Rossi (nel ruolo di Carmen).

È una serie che entra nella quotidianità di un mafioso latitante, rappresentandone il paradosso: il pregiudicato che inganna il sistema giudiziario fingendosi morto, è colui che condanna sé stesso e la propria famiglia a una vita di reclusione tra le mura domestiche.

La mafia in tv

Il tema della mafia, che da sempre è caro al genere drammatico, ha trovato negli ultimi anni un’altra forma espressiva: la commedia. L’uso del taglio ironico consente di trattare temi delicati e di valore storico, giustapponendo la narrazione dei fatti reali o credibili a scene dove la comicità tratteggia i personaggi in chiave grottesca (ci basti ricordare il Totò Riina alle prese con il condizionatore nel film “La Mafia uccide solo d’estate” e un Hitler intento ad aprire un account e-mail in “Lui è Tornato” del regista tedesco Wnendt).

Come spiega lo stesso Albanese, nel numero di ottobre di “NewsRai”, “ho narrato lo stile di vita dei latitanti di mafia usando l’ironia e il paradosso, con l’intento di far emergere il ridicolo e l’assurdità di quella condizione. […] La comicità vuole essere anche strumento rivelatore della bestialità e dell’ignoranza delle realtà mafiose che sottraggono nutrimento e sono portatrici di gravi ‘infezioni’, come i topi”.

È proprio con questa comicità dissacrante che si ridicolizzano i personaggi, a partire dai nomi che ricostruiscono interi alberi genealogici fino alle frasi sui bigliettini (“al solito momento…”) che più che vere e proprie indicazioni hanno l’aria di 'supercazzole' di tognazziana memoria.

Le caratteristiche della serie

In un non ben precisato centro del Nord Italia, il pater familias Sebastiano (Antonio Albanese), la moglie Betta, la zia Vincenza e i due figli Benni e Carmen siedono a tavola pronti per consumare il pranzo (prima puntata): sembra il perfetto quadro familiare se non fosse che, volgendo lo sguardo più attentamente, ci sono telecamere a spiare il cortile esterno, botole nascoste dietro la lavastoviglie e passaggi sotterranei. Quel nucleo familiare apparentemente perfetto è complice delle azioni criminali compiute dal capofamiglia Sebastiano, che ancora porta avanti il suo malaffare con l’aiuto di fidati prestanome. In questa serie è presente un compendio di figure e di format che caratterizzano da sempre le performance di Antonio Albanese, ma per certi aspetti il tono e il formato del racconto (25 minuti tipici della sit-com americana) costituiscono un lavoro di perfezionamento e una maggiore caratterizzazione di alcuni personaggi del passato, da Frengo a Epifanio, da Cetto Laqualunque al ministro della paura.

La serie opera all’interno del binomio reclusione-chiusura: lo zio Vincenzo, che condivide con Sebastiano lo stesso destino di “topo”, ascolta Isoradio per sapere cosa succede nel mondo esterno bandito ai suoi occhi (per scelta) da dodici anni. La sua è una conoscenza parziale, quanto basta per provare repulsione verso qualsiasi forma di vita che aleggia al di fuori: dal traffico stradale troppo tranquillo alla giornata soleggiata. La vita dello zio è una perfetta riproduzione di un reality show, una casa in miniatura fornita di tutto (cucina, bagno, letto) in cui si perde facilmente la cognizione del tempo e in cui ci si può rifugiare nelle proprie convinzioni (Vincenzo, ad esempio, occupa il suo tempo dipingendo banconote false) o nel sogno ingenuo di scavare un tunnel fino al mare più vicino.

La chiusura mentale di Sebastiano è dovuta alla sua esistenza che poggia su valori primitivi, quali particolari interpretazioni della legalità e tentativi di corrompere i politici, e che diventano precetti da lui fedelmente seguiti.

In aggiunta, Sebastiano è una figura genitoriale che, per quanto sia onnipresente nella vita dei figli costretto tra le mura domestiche, è assente a livello affettivo. Nel primo episodio, il figlio Benni esorta il padre a raccontargli di alcuni suoi amici “così tanto per parlare”, poiché di fatto in comune hanno ben poco, il primo con ambizioni e passioni legittime (la cucina) e l’altro ancora dietro a desideri di potere e al vile denaro. Sebastiano si trova inoltre in perenne conflitto anche con la figlia Carmen (il suo vero nome è Carmela), la quale cerca di correggere i congiuntivi dei genitori. Sabato prossimo andranno in onda la terza e la quarta puntata, che sono già disponibili sulla piattaforma Rai Play.