Il delitto della tredicenne Yara Gambirasio non ha certo bisogno di riepiloghi. Un dna che scotta, un probabile assassino, Massimo Bossetti, in carcere, due famiglie nella disperazione. In tale clima la richiesta dei legali di Bossetti tuona come un fulmine a ciel sereno: arresti domiciliari con braccialetto elettronico, una possibilità ammessa dal nostro codice di procedura penale.

Proviamo a comprendere come si possa traslare dalla custodia cautelare in carcere agli arresti domiciliari, ossia un ritorno alla propria abitazione, con un braccialetto elettronico, che testimoni il non allontanamento di colui che lo porta. Il nostro codice prevede che la custodia cautelare debba essere applicata, come "extrema ratio" (ossia quando le altre misure risultino inadeguate) in presenza di almeno una di tre situazioni: pericolo di fuga, pericolo di inquinamento di prove, possibilità di reiterazione del reato. Ebbene, gli avvocati di Bossetti, Claudio Salvagni e Paolo Camporini, hanno pensato bene, in un clima natalizio che addolcirebbe persino il giudice più intransigente, di giocare la carta del "ritorno a casa", adducendo come improbabile una fuga del loro assistito, abitando costui in un vicolo senza uscita ed essendo disposto ad indossare il braccialetto elettronico al fine di monitorare i suoi spostamenti.

Dura la replica del pm, Letizia Ruggeri, secondo la quale non sussisterebbero le condizioni per una modifica così netta della misura cautelare applicata. Altrettanto severa la replica dell'avvocato di parte civile, Enrico Pelillo, che rappresenta i Gambirasio, il quale ha sottolineato come la reiterazione del reato non sia da sottovalutare; se è vero, infatti, che una moglie può essere uccisa una sola volta, lo stesso non può dirsi per una tredicenne, dato che, di adolescenti di quell'età, è pieno il mondo. In una vicenda così scabrosa bisogna essere ben lungi dal cercare un colpevole ad ogni costo, purchè paghi, ma è anche vero che una valutazione troppo frettolosa delle circostanze, potrebbe costare cara.

La "patata bollente" passa alla Cassazione, deputata a decidere sulla questione nel lasso di tempo di cinque giorni.

Il furgone è di Bossetti?

Il destino sembra remare contro l'infaticabile e tenace collegio difensivo di Bossetti, dato che in udienza (la prossima si terrà l'8 gennaio) si è fatto avanti un supertestimone che ha dichiarato con fermezza di aver visto un furgone simile a quello dell'imputato, sfrecciare poco prima che Yara sparisse. L'elemento identificativo balzato all'attenzione del testimone, Federico Fenili, è la presenza di una cassa porta attrezzi, nella parte centrale, dietro alla cabina del furgone. Il processo si preannuncia estenuante, tra colpi di prova scientifica e prova dichiarativa. Resta fermo solo un interrogativo che tocca il cuore di ogni italiano: riuscirà la piccola Yara, la cui tenera vita è stata stroncata così crudelmente, ad avere giustizia?