Negli ultimi giorni sta girando una notizia relativa alla possibilità di scarcerare Salvatore Riina,a causa dello stato di salute molto precario. Ne è seguita una indignazione generale espressa dal popolo del web. Si rimprovera lo stato di aver dimenticato le vittime del "Capo dei Capi", nessuna delle quali ha avuto una morte dignitosa.
La causa della suddetta indignazione di massa è stata la pubblicazione della Sentenza datata 22 Marzo 2017, emessa dalla sezione penale della Corte di Cassazione.
Il tema è appunto quello della condizione di detenzione di Riina, attualmente relegato al "carcere duro".
Ma cosa ha detto realmente la Corte di Cassazione?
Andando a ritroso, individuiamo le cause che hanno portato la Corte a pronunciarsi. Totò Riina è detenuto da 24 anni nel carcere di Parma, sotto il regime del 41-Bis cioè del cosiddetto "Carcere duro". Avendo 86 anni e una salute molto compromessa dalla malattia, l'avvocato Luca Cianferoni, legale del Boss, ha inoltrato una istanza al tribunale di sorveglianza di Bologna, con la quale chiede la sospensione della pena o una conversione dal regime detentivo in carcere al regime domiciliare, per permettergli così una morte dignitosa.
L'avvocato infatti chiede che "lo stato non debba accanirsi contro un povero anziano".
La suddetta istanza è stata rigettata dai giudici bolognesi del tribunale di Sorveglianza, argomentando che nonostante la vecchiaia e la malattia, Totò Riina mantiene ancora intatta la sua pericolosità. Infatti ,secondo i giudici, il "Capo dei capi" sarebbe ancora al vertice dell'organizzazione mafiosa di Cosa Nostra e avrebbe dunque un forte potere di imposizione.
A questo punto, ci troviamo al 22 Marzo quando la prima sezione penale della Corte di Cassazione emette una Sentenza con la quale si annulla l'ordinanza impugnata e rinvia per un nuovo esame al Tribunale di Sorveglianza di Bologna. Ciò che è stato rilevato dalla suprema corte è l'assenza di motivazione.
Infatti, secondo la Cassazione, non basta la conclamata pericolosità di un soggetto come Totò Riina ad argomentare la negazione dell'istanza, dovendosi comunque riconoscere ad ogni essere umano il diritto ad una morte dignitosa.
Dunque, la prima sezione penale non ha affermato che Totò Riina ha diritto ad una morte dignitosa fuori dal carcere, ma ha sottolineato che per poter ammettere l'ordinanza emessa dal Tribunale di Sorveglianza di Bologna è necessario argomentare più analiticamente le motivazioni.
A conferma di ciò, anche il procuratore antimafia di Palermo, Franco Roberti, in una intervista rilasciata al Corriere della Sera ha affermato: “«(…) gli stessi giudici della Cassazione dicono che la sentenza del Tribunale di Bologna che rigettava l’istanza sull’incompatibilità della reclusione con lo stato di salute, ha una motivazione insufficiente e contraddittoria. Quindi basterà ovviare a queste carenze [..] Questa decisione non mi preoccupa. Sono tranquillo, fiducioso che alla fine il Tribunale di Bologna ribadirà le nostre ragioni»”.