Nel momento in cui si stava assistendo ad un leggero calo dei casi legati all'influenza, un nuovo ceppo si sta diffondendo in Italia mietendo già le prime vittime e registrando un alto numero di ricoveri in ospedale. Si tratta dell'influenzavirus A-H1N1, nota anche con il nome di influenza suina: già quasi 10 anni fa le diverse strutture sanitarie italiane furono messe in ginocchio dal diffondersi di tale epidemia, ma adesso la mancanza di una copertura adeguata sta ponendo tutti i presupposti per una vera e propria pandemia.
Inoltre, i numeri racconti da Influnet hanno messo in luce una situazione piuttosto compromessa, dato che i ricoveri in ospedale per l'influenza del tipo A e B sono stati più di 8 milioni soltanto nel Bel Paese e a partire dal 2018: le difese immunitarie, pertanto, potrebbero risultare già compromesse.
Torna il pericolo con l'influenzavirus A sottitipo H1N1
Rientrante sempre nel ceppo dell'influenza che dall'inizio del 2018 ha messo letteralmente in ginocchio la maggior parte degli italiani, l'influenza suina è un'altra delle fenomenologie che a distanza di 10 anni è tornata a minacciare l'Europa.
Si tratta di una patologia molto contagiosa, in quanto il virus tende a sopravvivere sulle superfici per 24 o 48 ore, aumentando notevolmente il rischio di entrarne in contatto. Secondo il Ministero della Salute, sarebbe opportuno mantenere una distanza di sicurezza di circa 50 centimetri, la quale deve essere aumentata a 2 metri nel caso in cui si verifichino fenomeni legati alla tosse o agli starnuti. Solitamente il periodo di incubazione del virus non presenta sintomi e, per questo motivo, bisogna fare particolare attenzione a non contagiare chi c'è intorno: si tratta, infatti, di una fase di ''eclissi'' del virus, in quanto resta latente all'interno del corpo per un paio di giorni per poi generare i primi sintomi.
Particolarmente a rischio sono i bambini e gli anziani, le cui difese immunitarie sono meno potenti rispetto alle persone appartenenti ad una fascia di età media, ma anche le donne in gravidanza. Il contagio può avvenire per via diretta, il che vuol dire che il soggetto infetto contagia altre persone con starnuti o tosse, o per via indiretta, quindi infettando l'ambiente. Essendo poi molto contagioso, così come il virus A-H3N2, è bene restare in casa fino a quando l'influenza non è stata debellata del tutto.
I sintomi dell'influenza suina
Nonostante sia giunta in Italia da poco, l'influenza suina, determinata dal propagarsi del virus A-H1N1, ha già preoccupato la prima divisione del dipartimento di Malattie infettive.
Infatti, oltre ai numerosi casi di soggetti contagiati, sono stati registrarti due decessi in Sardegna in soli otto giorni. Vista la pericolosità del ceppo, sarebbe bene fare chiarezza su come si manifesta e cosa fare in caso di contagio. Innanzitutto va sfatato il mito secondo il quale l'influenza suina si contragga mangiando o trattando la carne di maiale: secondo quanto dichiarato da Maria Triassi, direttore del dipartimento di sanità pubblica, si tratterebbe solo ed esclusivamente di una psicosi infondata. Per quel che riguarda i sintomi, invece, questi si manifesteranno in un periodo di tempo che va da uno a tre giorni in seguito alla contrazione del virus. Parecchio diffusa tra le fenomenologie è la febbre improvvisa e particolarmente alta, che tende ad avvicinarsi ai 39°C; si avvertono poi i brividi e disturbi legati sia all'appetito che al sonno.
In contemporanea, potrebbe presentarsi anche un mal di testa forte e costante, accompagnato da dolori localizzati a livello dei muscoli e delle articolazioni. Tipici dell'influenza suina sono anche la rinorrea (naso che cola), la lacrimazione agli occhi, il mal di gola, il bruciore in prossimità dello sterno, nausea ed infine il vomito. Nei bambini è particolarmente prorompente la mancanza di appetito, mentre negli anziani si altera la percezione del dolore. L'influenza virus A-H1N1 viene debellata mediante una cura prescritta ad hoc dal proprio medico sulla base della gravità dell'insorgenza della malattia (in media servono 2-4 giorni); le patologie che invece hanno intaccato il sistema respiratorio possono permanere fino a 20 giorni.