In questi giorni stanno rimbalzando, sulle pagine di varie testate, due notizie che, seppure abbiano avuto un esito contrapposto, sono, tuttavia, legate da un unico importante tema: il dialogo e l’integrazione tra culture diverse.
I fatti di cronaca
Ci riferiamo a due provvedimenti che hanno fatto molto discutere: l’uno per la troppa “rigidità” e il sapore, a detta di alcuni, “discriminatorio”, che avrebbe avuto come protagonista un’insegnante musulmana di una Scuola elementare di Berlino, colpevole di aver indossato il velo islamico (hijab) a lezione e l’altro per l’eccessiva acquiescenza con cui sarebbe stata accolta la richiesta della comunità islamica di Lodi di sostituire, nel reparto di chirurgia dell’ospedale cittadino, le protesi mammarie costituite da membrane suine, con protesi equine e di fornire alle pazienti musulmane solo personale sanitario femminile.
Analizzando più da vicino i due fatti di cronaca, si scopre che la maestra di Berlino sarebbe stata accusata di aver trasgredito la “legge sulla neutralità” vigente in Germania che vieterebbe l’uso di tutti i simboli religiosi: croce, kippah, hijab ecc. per insegnanti e funzionari, tant’è che nella sentenza del tribunale di Berlino, con cui la docente è stata rimossa dalla scuola in cui insegnava, è specificato che non si tratterebbe di discriminazione verso la religione islamica, perché il provvedimento riguarderebbe tutte le religioni. In seguito la maestra sarebbe stata trasferita in una scuola professionale per tenere corsi ad una “classe di accoglienza” per bambini rifugiati.
L'ospedale di Lodi sotto i riflettori
Nel secondo caso, invece, nell’occhio del ciclone è finito il primario del reparto di chirurgia dell’Ospedale di Lodi, Daniele Blandini, che avrebbe messo a punto addirittura un protocollo sanitario ad hoc per le pazienti musulmane, sottoposto per di più all’approvazione della comunità islamica locale. Notizia che avrebbe allarmato il direttore generale dell’ospedale, Giuseppe Rossi, e l’assessore al Welfare Giulio Gallera; quest’ultimo avrebbe affermato che, nonostante il provvedimento non sia stato approvato dalla direzione generale, tuttavia esisterebbe una “riflessione ancora in corso”. Il portavoce della comunità islamica di Lodi, Abdelahman Kheder, si sarebbe affrettato a smentire di essersi fatto promotore dell’iniziativa, presentando invece il progetto come frutto di un’iniziativa spontanea del primario.
Multiculturalismo: realtà o utopia?
Si tratta, insomma, di due storie dagli esiti diversi, anzi contrapposti, legate tuttavia da un unico filo conduttore: l’importanza rivestita dalle usanze e dai simboli religiosi nelle varie culture. Tanto da rendere veramente arduo immaginare un contesto sociale “neutro”, seppure in nome di una teorica volontà di integrazione tra le varie tradizioni culturali ma che verrebbe realizzata, di fatto (come ci dimostrano anche i fatti di cronaca descritti) a costo di una vera e propria rinuncia da parte di ciascuna cultura alle proprie peculiarità.
Questo perché tutti i simboli religiosi sono carichi di significati importantissimi, se non vitali, per la cultura che li ha prodotti e tramandati.
Essi racchiudono in sé una determinata visione del mondo e un insieme di norme e valori che orientano in un certo modo il popolo a cui appartengono. Premesso questo, risulta lecito chiedersi se ha senso parlare di integrazione e a quale costo.
Infatti, in una società multietnica come la nostra, “integrarsi” in un ambiente diverso dal proprio, significa necessariamente rinunciare a qualcosa di sé, della propria identità, per potersi adeguare alle norme della comunità accogliente. Ma ciò avviene sempre, a cuor leggero e in automatico? I fatti di cronaca citati ci dimostrano di no. Viene allora da chiedersi se la tanto decantata globalizzazione che, a detta di molti, abbatterebbe frontiere e pregiudizi, sia davvero un bene per tutti o non sia piuttosto un processo inarrestabile che rischierebbe di portare prima o poi al semplice annullamento delle identità culturali o, peggio, allo scoppio di conflitti inevitabili e dolorosi tra civiltà diverse, allo scopo di mantenere disperatamente intatta la propria identità. Verrebbe abbattuto così, con la semplice forza dei fatti e senza indulgere tanto in disamine sociologiche, il mito di un utopico “multiculturalismo” che chissà se si riuscirà mai a realizzare.