A distanza di 18 anni le conseguenze dei terribili attentati dell'11 settembre 2001 si possono ancora avvertire. Ora sta prendendo sempre più piede una nuova strategia dei legali dei terroristi accusati di aver pianificato gli attacchi. Secondo loro, le confessioni dei loro assistiti furono rilasciate sotto tortura, e questo di conseguenza non le renderebbe valide in sede processuale.
E non finisce qui. Khalid Sheikh Mohammed, considerato una delle menti principali dietro gli attentati, si è offerto di collaborare e di rivelare i retroscena sulla presunta collaborazione dell'Arabia Saudita. In cambio, l'uomo ha chiesto di non essere condannato a morte.
Forse le confessioni furono estorte con la tortura
Il processo ai terroristi che sono ritenuti le menti dietro gli attentati dell'11 settembre 2001 è rimasto bloccato alle udienze preliminari (il "pretrial") dal 2008. Dovrebbe iniziare per davvero all'inizio del 2020, ma ora stanno emergendo nuovi elementi che rischiano di complicarlo ancora di più.
Gli avvocati dei cinque indagati infatti hanno portato degli elementi che gettano alcune ombre sull'operato della CIA. A detta dei legali, ci sarebbero prove che l'intelligence americana avrebbe utilizzato la tortura per estorcere le confessioni ai terroristi (sotto l'amministrazione Bush in realtà era ancora legale agire in questo modo, e soltanto sotto Obama le cose sono cambiate). Già nel 2017 era stata avanzata questa tesi, ma ora il New York Times scrive che sempre maggiori prove stanno emergendo a sostegno di ciò.
Gli indagati, sospettati di essere le principali menti dietro gli attentati, furono arrestati tra il 2002 e il 2003, e condotti nei cosiddetti "black site", prigioni segrete situate in paesi alleati degli USA.
Qui sembra provato che la CIA li torturò a lungo. Solo quando i prigionieri passarono sotto la giurisdizione dell'FBI, gli interrogatori furono fatti in modo consueto e privo di violenza. Secondo l'accusa, sarebbe possibile dividere con chiarezza i due momenti, e dunque nel processo si saprebbe bene quali confessioni si possono utilizzare e quali no. A detta degli avvocati, invece, non ci sarebbe una netta separazione tra gli interrogatori sotto tortura e quelli successivi, e questo potrebbe significare che le confessioni rilasciate non potranno essere ritenute valide nel corso del processo.
Khalid Sheikh Mohammed si offre di collaborare per evitare la pena di morte
Khalid Sheikh Mohammed, ritenuto una delle menti principali che concepirono gli attentati dell'11 settembre, ha intanto anche avanzato la proposta di collaborare in cambio della sua salvezza dalla pena di morte.
In particolare, lui vorrebbe accettare di aiutare le famiglie delle vittime per la causa intentata contro l'Arabia Saudita, accusata di complicità negli attacchi. A riferirlo in un proprio articolo è il Wall Street Journal.
All'inizio l'avvocato dell'accusato aveva escluso una simile possibilità, ma è poi tornato indietro, chiedendo appunto in cambio che Khalid Sheikh Mohammed non venga condannato a morte.