Dottor Leoni, perché ci si sta muovendo solo adesso con le prime forniture di mascherine e la riconversione degli impianti contro il Coronavirus? L’emergenza nazionale è stata dichiarata il 1 febbraio scorso.
Il problema è che le cose devi capirle prima. Io penso che da parte dei consulenti del governo ci sia stata una sottovalutazione di quelle che erano le evidenze provenienti dalla Cina in merito al Covid-19. Lo stesso virologo, Roberto Burioni a inizio febbraio già metteva in guardia sulla capacità di diffusione del virus. Appare incredibile che in quel momento – esistendo dei protocolli che chi si occupa di prevenzione dovrebbe avere in un cassetto – sia stata sottovalutata la situazione.
In questo modo abbiamo perso due mesi. Gli invii delle mascherine sono iniziati adesso, non due mesi fa. E ho ascoltato di recente l’intervista a un produttore italiano di mascherine che sottolineava come un mese e mezzo fa ancora nessuno gli avesse chiesto alcunché, mentre tutte le commesse erano per l’estero – non per l’Italia. Il fulcro di tutto in questo caso si chiama prevenzione.
C’è stata quindi incompetenza da parte del governo, del Ministero della Salute, della Protezione civile in termini di capacità di prevenzione?
Tenga conto che gli uffici di prevenzione ci sono in ogni ASL, in ogni Regione e a livello nazionale.
Alla luce di quanto sta succedendo direi che c’è da riflettere molto sulla capacità di azione a livello di Ufficio Prevenzione nazionale e quindi di Istituto Superiore di Sanità. Ora abbiamo il problema da risolvere sul Coronavirus ed è contingente ma una riflessione su quante morti si sarebbero potute evitare andrà fatto.
Si è detto nelle scorse settimane di protocolli anti-pandemici risalenti alla SARS che sarebbero stati ignorati.
E’ emerso che esisteva un protocollo SARS 2002-2003 contro le malattie infettive in cui tutte le misure erano state già state esplicitate. Ma c’è anche il manuale Covid redatto dai cinesi per quanto riguarda il tipo di isolamento e i dispositivi di protezione per gli operatori.
Quindi una documentazione scientifica su cui ragionare, esisteva ed esiste. Ma sei lei va a recuperare i titoli di giornale di qualche tempo fa, vedrà che l’orientamento era ben diverso: prima si è pensato che l’epidemia forse non ci avrebbe riguardato, che fosse una problematica che interessasse la Cina. Ci si è illusi che la pandemia non arrivasse qui.
Cosa consigliavano i cinesi in termini di protezione per gli operatori sanitari?
Le protezioni consigliate dai cinesi - che a questo punto sono i massimi esperti del settore - sono differenti da quelle dell’OMS e dall’ISS che le ha corrette, in parte, proprio nei giorni scorsi. Il problema essenziale è l’utilizzo delle mascherine ad alto filtraggio per una platea di operatori molto più vasta rispetto a quella prevista fino a poco tempo fa.
Adesso è richiesto un uso estensivo delle mascherine ad alto filtraggio. Fino a poco fa e per questi due mesi le semplici mascherine chirurgiche sono state consigliate per tutti i contatti, al di là di quelli che lavorano in rianimazione, malattie infettive o fanno operazioni con nebulizzazione di aerosol o l’intubazione.
Quindi i medici della continuità territoriale e di famiglia hanno continuato a usare le mascherine chirurgiche.
Su questo si innesta proprio il problema dei medici di medicina generale – che sono andati a fare le visite a casa. Questi medici hanno lavorato senza le protezioni idonee, “a mani nude”. Ed è la causa di questa sfilza di morti, fino a prova contraria. Si tratta di medici che si sono sacrificati per curare i pazienti.
Tenga conto che difficilmente un paziente Covid è discriminabile a domicilio: per fare la visita devi stare vicino al paziente, auscultarlo, farlo tossire. Ma senza protezioni si rischia. Come ci si protegge poi se è materialmente impossibile trovare le mascherine? E le mascherine ad alto filtraggio sono prodotti con caratteristiche industirali ben specifiche che una volta prodotte vanno testate in termini di controllo qualità: nessuno si inventa nulla in poco tempo.
Per lo più le acquistavamo dalla Cina.
Vista l’emergenza Coronavirus, la Cina - tra i maggiori produttori di mascherine al mondo - ha contingentato le produzioni interne di mascherine e le ha dedicate al mercato nazionale. Noi non eravamo assolutamente pronti alla riconversione industriale per essere autonomi.
E così c’è stato un buco di rifornimento per tantissimi medici e operatori. Di contro, le Direzioni sanitarie si sono rifatte ai dettami dell’OMS (che prevedevano l’impiego di mascherine chirurgiche, ndr) sebbene i medici , ordini e sindacati facessero notare che il Centro per le Malattie infettive di Altanta e i cinesi stessi sostenessero il contrario. Il dibattitto quindi dall’essere scientifico è divenuto politico. E non se ne usciva anche perché i presìdi ad alto filtraggio semplicemente non c’erano.
Torniamo alla questione della prevenzione e della capacità di prepararsi ad affrontare una crisi.
Guardando all’Italia, c’erano voci di diversi consulenti ed esperti che avevano lanciato l’allarme già a gennaio, come fece lo stesso Burioni.
Ma all’epoca il discorso prevalente riguardava il blocco della circolazione dei cittadini, il controllo degli aeroporti e i termoscanner. Non si pensava che questa situazione avrebbe potuto verificarsi anche in Italia. E chi gettava acqua sul fuoco è stato anche in buona compagnia con le istituzioni di altri Paesi perché fino a due settimane fa la Francia, la Gran Bretagna e gli Stati Uniti erano negazionisti, mentre l’infezione andava avanti. Ripeto: credo sia un problema di consulenti, considerando che i politici sentono il loro parere. Ed è estremamente probabile a questo punto che i consulenti non siano stati all’altezza. Alla chiusura di tutte le attività, inoltre, si è arrivati sulla base dell’esacalation dei contagi.
E i politici si sono arresi all’evidenza dei fatti. Ma se lei sente le dichiarazioni anche di grandi esperti di un mese e mezzo fa – persone che per tutta la vita hanno studiato le malattie infettive – erano completamente differenti da quelle di oggi: si ripeteva che era una epidemia circoscritta alla Cina, che qui non sarebbe mai arrivata, che il nostro sistema era pronto nell’eventualità . E’ vero che la pandemia ha poi sorpreso il mondo intero ma, lo ripeto, è anche vero che più di qualcuno aveva previsto questa situazione. In questo scenario per due mesi i pazienti anche asintomatici o infetti hanno continuato a girare e hanno diffuso questo tipo di malattia. Il vero problema sono gli asintomatici positivi che non sanno neanche di esserlo.
Infettando anche i medici.
I medici hanno fatto il loro dovere e l’hanno pagato a caro prezzo, soprattutto in Lombardia. E secondo l’elenco della Federazione nazionale il 70-75% dei caduti appartengono ai medici del territorio. Ci sono anche dei caduti tra medici ospedalieri e anche tra i dentisti perché hanno problematiche particolari per l’utilizzo della turbina con la vaporizzazione dei liquidi. Bisogna dire poi che tutti i medici sono appartenenti alla categorie dei sani. E’ vero che questa malattia colpisce chi ha un’età più avanzata e ha altre patologie, ma questi nostri colleghi lavoravano tranquillamente. Come il presidente dell’ordine di Varese, Roberto Stella, che avevo visto un paio di mesi fa, perfettamente in salute, morto con una evoluzione anche abbastanza rapida.
Alcuni continuano a ripetere che “è poco più di un’influenza”. Quanto è pericoloso questo virus?
Il virus ha una mutazione dieci volte superiore rispetto al CovidSARS, quindi è più difficile da arrestare: il virus dell’influenza normale infetta circa 1,2 altre persone, il virus Covid-19 ne infetta 2,5/3.
Tra l’altro ci sono stati ritardi anche nell’approvvigionamento dei ventilatori e dei respiratori.
I respiratori vengono prodotti da ditte specializzate, quattro in Europa: in Germania e Francia ed una in Italia. La catena di produzione è tarata su una certa produzione e standard. Ma il problema più grosso non sono tanto i ventilatori o i letti ma è il personale umano che deve accudire i pazienti che sono dipendenti dalla macchina.
Questa polmonite colpisce gli alveoli, quindi le vie respiratorie profonde: il paziente va in fame d’aria, va ventilato a pressione positiva. Il 4% dei pazienti viene intubato per due o tre settimane e deve essere accudito completamente.
C’è stata poi una corsa all’ampiamento dei reparti di Terapia intensiva, nel nostro Paese.
Esatto. Eravamo al livello più basso in Europa quanto a posti in rianimazione.
Adesso però tutti vi chiamano eroi.
Vede, lavorare in rianimazione significa fare le cose con precisone e metodo, applicando i protocolli: metodo e disciplina. Noi come medici pretendiamo che questa precisione e disciplina ci sia anche a livello politico. Perché poi a noi viene chiesto di sistemare le cose.
Adesso ci chiamano “eroi” ma sono anni che i sindacati protestano per il blocco del turnover, il taglio dei posti letto e dell’assistenza sanitaria in Italia.
Qualcuno potrebbe dire però che con il senno del poi, le critiche sono facili.
Io le sto parlando da Venezia, ebbene la Repubblica della Serenissima è sopravvissuta fino a Napoleone per 1100 anni perché aveva istituito i lazzaretti e aveva la quarantena. Commerciando con l’Oriente, quando arrivava una nave la tenevano ferma per quaranta giorni. Avevano già capito tutto anche perché la popolazione di Venezia era stata quasi azzerata da tre pestilenze – da qui la basilica della Salute. Prima dei ventilatori e degli antivirali la quarantena era un sistema a cui qualcuno aveva già pensato.