Le indagini sulla strage della funivia a Stresa, condotte in tempi rapidissimi, hanno portato al fermo di tre persone. Si tratta di Luigi Nerini, proprietario della società che gestisce l'impianto, le Ferrovie Mottarone srl, Enrico Perocchio, caposervizio, e Gabriele Tadini, ingegnere direttore del servizio.
Interrogati tutta la notte, i tre hanno ammesso di essere a conoscenza del malfunzionamento della funivia caduta domenica scorsa, 23 maggio, provocando la morte di 14 persone, tra cui due bambini, e di aver volontariamente disattivato il freno di emergenza per evitare il fermo dell'impianto, in una giornata che lasciava presagire un afflusso di turisti e quindi incassi.
Tragedia funivia Stresa-Mottarone, gli interrogatori
"Il freno non è stato attivato volontariamente": lo hanno ammesso i tre fermati. A confermarlo, stamattina a i microfoni di Buongiorno Regione su Rai Tre, è stato il tenente colonnello dei carabinieri Alberto Cicognani. I tre, al momento sono accusati di omicidio colposo plurimo, disastro colposo e rimozione degli strumenti atti a prevenire gli infortuni aggravato dal disastro e lesioni gravissime. L'ufficiale dell'Arma ha spiegato che, consapevoli dei malfunzionamenti dell'impianto, i fermati, "per evitare ulteriori interruzioni del servizio, hanno scelto di lasciare la 'forchetta', che impedisce al freno d'emergenza di entrare in funzione" in caso di rottura del cavo traente.
La procuratrice di Verbania, Olimpia Bossi, ha svolto gli interrogatori con la pm Laura Carrera, da ieri pomeriggio all'alba. Dopo ore di confronto serrato e drammatico, ha disposto il fermo dei tre indagati. In 12 ore di lavoro, sono stati sentiti tecnici e persone informate sui fatti. Tra loro, i tre, la cui posizione è cambiata nel corso della notte.
La procuratrice, 'Cabina a rischio da un mese e lo sapevano'
La procuratrice Bossi si accinge a chiedere la convalida del fermo e la custodia cautelare in carcere nei confronti dei tre. All'uscita dalla caserma dei carabinieri di Stresa dove ha svolto gli interrogatori, ha parlato di "un quadro fortemente indiziario" verso i fermati. Tre persone che "dal punto di vista giuridico ed economico", avevano la possibilità di intervenire, ma non l'avrebbero fatto.
Erano "coloro che prendevano le decisioni". L'analisi della cabina precipitata mostra che "presentava il sistema di emergenza dei freni manomesso". Un 'rimedio' che ha permesso di mettere in funzione la funivia, nonostante il sistema presentasse 'anomalie' "di cui i fermati erano consapevoli", e malgrado l'impianto avrebbe avuto bisogno "di un intervento più radicale con un blocco se non prolungato, consistente".
Invece, dopo il fermo obbligato imposto dalla pandemia, la funivia era tornata attiva lo scorso 26 aprile, e il cosiddetto 'forchettone', il divaricatore che serve a tenere distanti le ganasce dei freni che dovrebbero bloccare il cavo portante in caso di rottura del cavo trainante, non era stato rimosso.
La procuratrice ha riferito che già da giorni la funivia aveva fatto diversi viaggi in quelle condizioni, e che la cabina crollata sarebbe stata a rischio almeno da un mese. Per la procuratrice, i tre indagati sarebbero stati consapevoli dei problemi tecnici "anche prima, quando la funivia veniva attivata solo per manutenzione o servizio che non comportavano il trasporto dei passeggeri".
Infatti, interventi di manutenzione erano stati richiesti, uno era stato fatto il 3 maggio, ma non era stato affatto risolutivo, ha riferito Bossi. Sarebbe stata necessaria una revisione straordinaria che avrebbe richiesto un ulteriore periodo di fermo dell'impianto. E invece, secondo le parole della procuratrice, "nella convinzione che mai si sarebbe potuta verificare una rottura del cavo, si è corso il rischio che ha purtroppo poi determinato l'esito fatale".
Il quadro fortemente indiziario dovrà essere confermato da un'inchiesta tecnica, necessaria per poi procedere con una consulenza in forma di accertamento irripetibile. La procuratrice ha specificato che l'incarico sarà affidato a esperti in trasporti a fune, ingegneri altamente specializzati del Politecnico di Torino.
Iniziato il risveglio di Eitan, unico superstite di 5 anni
Tutta l'Italia fa il tifo per il piccolo Eitan, il bambino di cinque anni ricoverato all'ospedale Regina Margherita di Torino. Unico superstite della strage, ha perso la famiglia di origini israeliane con cui viveva a Pavia, padre, madre e fratello. I medici pensano che l'abbraccio del padre, prima di morire, l'abbia salvato. La risonanza magnetica a cui è stato sottoposto ieri non ha evidenziato danni neurologici. Oggi è iniziato l'iter per risvegliarlo dal coma farmacologico. Accanto a lui una zia venuta da Israele.