Il Cinema Massimo di Torino ritorna ad essere un luogo utile per farsi una cultura cinematografica, come era stato negli anni precedenti. Rispetto al passato, però, non c'è più il grande schermo della sala principale, ma quello di minori dimensioni della sala 3 che ha proiettato "Rocco e i suoi fratelli" di Luchino Visconti. Il film è stato riproposto, in versione restaurata dalla Cineteca di Bologna, a partire dal 29 febbraio, e l'appuntamento verrà ripetuto anche stasera 1 marzo, e poi nei giorni 7-8-14-15-21-22. Contemporaneo della "Dolce Vita" di Federico Fellini con Anita Ekberg che si è spenta un anno fa, la pellicola segna la ripresa di Luchino Visconti del cinema neorealistico.

Racconta la storia problematica di una famiglia che alla morte del padre emigra dalla Lucania a Milano.

La madre Rosaria ricorda padron 'Ntoni dei "Malavoglia" di Verga e punta sull'energia dei figli per il riscatto sociale. Ciro riesce a integrarsi nella nuova realtà sociale come onesto operaio che assume pure una coscienza di classe. Simone e Rocco si danno alla boxe che rappresenta il carico di lupini con cui naufragano "I Malavoglia" e il mondo che, pesce vorace, li inghiotte. Dalla violenza controllata dello sport, i due fratelli passano a un'aggressività antisociale - a suo tempo censurata dall'establishment - innamorandosi entrambi della prostituta Nadia che scatena un'incontrollabile gelosia tra i due e alla fine viene uccisa a pugnalate da Simone all'Idroscalo di Latina.

Qui infatti è stata girata questa scena di alta drammaticità tutta "made in Visconti", mentre per il resto del film la location è Milano, con il contributo nella sceneggiatura di Festa Campanile.

La Milano degli emigrati

Ma tutto è un unico, grande e articolato palcoscenico come nel migliore Visconti. Protagonista è la Milano brumosa del centro e della periferia con le sordide case popolari e la palestra di boxe, incomprensibile per gli emigrati, sottofondo della tragedia di una famiglia che si disgrega per una lotta fratricida di grande impatto espressivo e raccontata con grande maestria artistica. Simone è il cattivo, Rocco è l'angelico che non riesce a vivere in una società ostile e disumana, di cui rimane vittima inconsapevole.

Visconti punta tutto il suo discorso sulle cosiddette scene madri, sui contrasti violenti, sui dialoghi a due personaggi, teatralizzando in questi punti la narrazione e caratterizzandolo sul piano della recitazione che è propria delle sue migliori regie teatrali. Rocco è il personaggio melodrammatico, quasi romantico nella sua storia d'amore con Nadia, che però annega nella violenza più subita che cercata. La sua battaglia fuori dal tempo, ideale e perdente in partenza, significa la difficoltà, addirittura l'impossibilità di uscire con le proprie forze dalla negatività del reale quotidiano con un progetto esistenziale positivo che non sia pura e semplice rivolta dell'individuo o un'accettazione passiva dell'esistente.

Ma è il fratello Ciro (il film in origine si doveva intitolare Ciro e i suoi fratelli) a contrapporre alla violenza degli altri e della società, un modello di vita positivo che riesce a resistere alla distruzione dei personaggi e dell'ambiente intorno a lui e realizza compiutamente la tensione drammatica, forse un po' decadente, tipica di Visconti. Spesso si è parlato di erotismo morboso di Visconti che in questo film diventa violento e quasi sadico, ma si tratta dell'antico rapporto tra Eros e Thanatos. E ci sarà ancora tra gli extracomunitari un Simone che arriva a uccidere, un Rocco che si perde e un Ciro che si integra, magari facendo l'organizzatore di successo di serate in discoteche di Milano, a cui non mancano i soldi.