Letteralmente “manager della felicità”, il Chief Happiness Officer (CHO) è la figura professionale emergente che nove italiani su dieci desidererebbero trovare sul posto di lavoro. E si tratta di una richiesta assolutamente legittima e fondata, seppure dal tenore singolare, poiché il “diritto alla felicità” è sancito dalla Costituzione americana. Non a caso nella Dichiarazione d’Indipendenza è scritto: "tutti gli uomini sono stati creati uguali, essi sono detentori di diritti inalienabili, quali la Vita, la Libertà e la ricerca della Felicità”.
Da un rapporto di “Workplace powered by Human Experience”, lo schema di valutazione dell’agenzia JLL (leader nel settore dei servizi professionali), che studia l’effetto dell’ambiente di lavoro sul benessere e sull’efficienza dei dipendenti, emerge che “un ambiente di lavoro incentrato sull’esperienza umana determina come le persone si sentono sul luogo di lavoro, quanto sono coinvolte, soddisfatte ed appagate in una fusione ideale tra vita e attività lavorativa”. L’obiettivo, dunque, sarebbe quello di costruire attorno al lavoratore le condizioni ideali perché si senta prima di tutto accolto e sereno, garantendo un riscontro positivo anche in termini professionali, con una maggiore produttività ed una considerevole soddisfazione reciproca.
Lavoro e vita privata
In termini concreti, il primo passo nella direzione del benessere in ufficio consiste nel cambiare punto di vista, concentrando l’attenzione sull’ambizione, prima ancora che sul senso del dovere. Il lavoratore dovrebbe, innanzitutto, sentirsi a proprio agio e avere la possibilità di coltivare le proprie aspirazioni in armonia con le esigenze della vita privata, non in contrasto.
“Il luogo di lavoro è qualcosa di più di un semplice immobile”, sottolinea il “Workplace powered by Human Experience”, “è un ambiente che può aiutare gli individui e le imprese a raggiungere le proprie aspirazioni e creare una fusione ottimale tra vita e lavoro. Ciò che rappresenta un elemento distintivo per le organizzazioni è creare esperienze memorabili.
Questa filosofia dovrebbe coprire un ruolo chiave all’interno di ogni azienda, sia a livello strategico che operativo.”
Meglio un open space?
Dal report di JLL emerge un forte collegamento tra l’edificio in cui si svolge l’attività lavorativa e il livello di coinvolgimento aziendale dei dipendenti, ma il primo elemento di insoddisfazione per molti lavoratori, soprattutto i più giovani, è proprio quello relativo al luogo di lavoro. Oltre la metà dei dipendenti italiani, infatti “manifesta la necessità di un cambiamento ‘smart’ in termini di luogo e gestione del lavoro”, come ha dichiarato Silvia Impelluso, Associate Director nonché Senior Workplace strategy consultant. Gli uffici sono, per la maggior parte, sprovvisti di aree di aggregazione, spazi ricreativi e utili al co-working e, soprattutto, strutture dedicate alla salute ed al benessere, compresi quelli adibiti a “nido” per la cura dei bambini.
Tali carenze non favoriscono il coinvolgimento e l’interazione tra i lavoratori, anzi marcano decisamente il limite tra ambito privato e professionale.
Ma in cosa consiste il lavoro del manager della felicità?
La missione del CHO consiste sostanzialmente nel garantire agli impiegati una condizione di felicità come presupposto essenziale per svolgere la propria mansione nel migliore dei modi. Il CHO è un membro particolare delle Risorse Umane, che ha proprio questo compito: motivare, ascoltare i dipendenti ed assecondarne le esigenze, nell’interesse dell’individuo ma anche dell’azienda. Deve occuparsi dunque di rendere l’esperienza lavorativa un’esperienza gratificante e felice, attraverso l’applicazione di 8 semplici passaggi:
- Garantire le basi. Presupposto essenziale di un lavoratore felice è la giusta ricompensa, per cui è necessario che gli sia garantito uno stipendio adeguato, puntuale e che non preveda inutili lotte amministrative.
- Trattare ogni impiegato con il dovuto rispetto. Potrebbe sembrare un concetto banale, ma uno dei maggiori fattori di stress lavorativo è rappresentato dal fatto che spesso i dipendenti non si sentano trattati come persone che contano, ma come risorse difettose e “intercambiabili”.
- Diritto ad un portavoce. I dipendenti di in un’azienda hanno il diritto di essere ascoltate, attraverso canali appropriati, vademecum e un iter che assicuri una risposta immediata, senza interminabili percorsi burocratici, alle loro esigenze ed alle loro proposte.
- Possedere e dichiarare costantemente dei valori cardine, che contraddistinguano la mission aziendale e regolino il rapporto con i dipendenti. Importante, in questo contesto, definire le fondamenta su cui è costruita l’azienda, perché costituiscano il punto di riferimento per ogni decisione ed ogni eventuale conflitto. Coerentemente con questi valori, bisognerà reclutare persone adeguate, valutarli di conseguenza e premiarli come tali.
- Rendere liberi i lavoratori, garantendo loro la libertà di gestire il tempo e lo spazio di lavoro, assieme alla libertà di sfruttare la propria creatività.
- Incoraggiare la crescita individuale. Essenziale che il dipendente percepisca la possibilità di crescere professionalmente. Il CHO deve fare in modo che acquisisca le nozioni che gli permettano un avanzamento di carriera per meritocrazia o titoli, spronandolo ad alimentare l’ambizione.
- Incoraggiare il lavoro di squadra. Anche la capacità di collaborare all’interno di un team rappresenta un indicatore di come un’azienda gestisce e agevola l’interazione tra i dipendenti. In quest’ottica bisogna tenere conto che non tutti i lavoratori sono inclini al lavoro di squadra, per cui il compito del CHO dovrebbe essere quello di preparare, coordinare e supportare il gruppo.
- Non sottovalutare l’umore. Sia manager che dipendenti dovrebbero recarsi sul posto di lavoro con entusiasmo e motivazione. Sarà compito del CHO stimolare il buonumore e la soddisfazione, personale e professionale.