Era il 18 luglio 1976 quando alle competizioni di ginnastica artistica delle Olimpiadi di Montreal si presentò una ragazzina di nemmeno 15 anni che con il suo enorme talento lasciò tutti senza fiato. Era Nadia Comaneci, ginnasta rumena che per prima ottenne il massimo punteggio possibile ai Giochi olimpici, realizzando il "10 perfetto". La vita dell'atleta è però nota anche per le tristi vicissitudini di cui fu protagonista, come le violenze inflitte dall'amante Nico Ceausescu, erede del dittatore rumeno Nicola Ceausescu, e i vari tentativi di suicidio.
La Comaneci è divenuta così nel tempo un simbolo della lotta agli abusi sulle donne in ambito sportivo.
La strada per Montreal
Nadia Comaneci fu scoperta dai tecnici rumeni Béla e Marta Kàroly mentre svolgeva un allenamento a scuola. La piccola a soli sei anni era infatti già un talento e sembrava volteggiare come se non temesse nulla. Kàroly la prende con sé e la sottopone a un regime alimentare e a un allenamento costante e talvolta spietato (come ammetterà in futuro la stessa ginnasta), permettendole già da giovanissima di raggiungere grandi risultati, sia nazionali che internazionali. Comaneci ottenne infatti il massimo punteggio sia alla prima edizione dell'American Cup a New York che nelle successive due in Giappone, mentre alle Olimpiadi di Montreal, dove diviene la prima ginnasta ad eseguire un "10 perfetto", si aggiudicò tre medaglie d'oro, un argento e un bronzo.
L'ombra della fama
Ben presto però i successi olimpici diventeranno una corda che stringerà Nadia Comaneci fino a soffocarla. Nella sua Romania, infatti, vigeva il regime comunista del dittatore Nicolae Ceausescu, di stampo profondamente nazionalista: era dunque fuori da ogni dubbio che la piccola ginnasta potesse divenire un simbolo estremo di propaganda di regime.
Comaneci viene così spesso ricevuta a palazzo e riempita d'onori, fino al conferimento del titolo di "Eroe del lavoro socialista". La ginnasta diventa inoltre l'amante di Nicu Ceausescu, figlio prediletto del dittatore, uomo violento, alcolizzato e dalla vita sregolata, che infligge a Comaneci non poche violenze fisiche e psicologiche.
Nonostante le ulteriori vittorie ottenute, quindi, la sua vita privata va lentamente a pezzi, Nadia non sa più che strada seguire e continua a vivere le sue giornate in piena solitudine tra le asfissianti mura del palazzo Ceausescu. Dopo gli episodi di bulimia e il tentato suicidio attraverso l'ingerimento di candeggina, Comaneci riesce comunque a tornare in pista e vincere due ori e due argenti alle Olimpiadi di Mosca nel 1980, sebbene sia costantemente sotto il controllo delle spie di regime, che temono una sua fuga. Nel 1989 Comaneci, ormai 27enne, riesce a liberarsi di quella spirale di violenza raggiungendo gli Stati Uniti e chiedendo asilo politico, mentre l'ex amante Nicu morirà in totale povertà.
La storia di Nadia Comaneci pone dunque da sempre i riflettori su una piaga da non sottovalutare: l'accettazione sociale degli abusi sulle donne. Le sue vicende e quelle di altre campionesse olimpiche (tra tutte Simone Biles) hanno infatti il compito di scuotere le coscienze per arrivare un giorno ad eradicare l'omertà che accompagna spesso gli abusi, anche in ambienti sportivi. Perché quello che era sbagliato nella Romania degli anni '80 lo rimane oggi, nonostante persista, si diffonda e venga spesso nascosto: non c'è e non ci sarà mai medaglia d'oro capace di compensare tanto dolore.