Per ora è stata location di sfilate di moda, ma vanta un passato meno effimero. E' l’ex Borsa Valori di Torino, costruita dagli architetti Roberto Gabetti e Aimaro Isola accanto alla Camera di Commercio, dopo che i bombardamenti della Seconda guerra mondiale l'avevano rasa al suolo.

Poi dal 1992, con l'avvento delle contrattazioni telematiche, i manager della finanza hanno traslocato a Milano.

Ma rimpiangono che l'attuale perno della finanza sia nella città meneghina, con tanti professionisti pendolari sul Freccia Rossa.

Piazza del vino e Piazza dei mestieri

Ieri è stata annunciata la riconversione enogastronomica della Borsa valori torinese: su 4 piani ci saranno negozi, ristoranti e pure un museo e una libreria specializzata per un investimento di 3,5 milioni di euro: si chiamerà la Piazza del vino e sarà in centro città, accanto al microbirrificio Balladine.. E' un settore in costante ascesa. Tanto che l'ultimo Salone del gusto ha riportato sulla città una ricaduta economica di 40 milioni di euro.

Questo ha convinto il rampollo dei banchieri pinerolesi Brignone, appena incorporata in Ubi Banca, quarto polo nazionale del settore, a investire 12 milioni di euro in un centro polifunzionale al posto di una fabbrica dismessa con cucine condivise e microbirrifici.

In società con Gianluca Poggio, patron delle Piazza dei mestieri, polo dell'enogastronomia nel quartiere San Donato, ha dato vita, in Barriera di Milano, all'Edit che si propone come l'anti-Eataly di Oscar Farinetti in quel del Lingotto.

Da 15 anni poi, Piazza Affari è controllata dal London Stock Exchange in uno scenario che vede Intesa San Paolo pigliatutto (il suo ad, Gian Maria Gros Pietro, è stato premiato domenica scorsa come torinese dell'anno) e la società leader nella gestione patrimoniale, Azimut, nel ruolo di outsider.Invece al Moskow Stock Exchance gli operatori si stanno preparando alla contrattazione di futures in bitcoin.

La sfida della finanza

La vera sfida della Mole alla City di Londra diventa culinaria dove la cucina subalpina è superiore per tradizione.

Proprio nel 2007, quando gli inglesi hanno messo le mani su Piazza Affari, è nato il colosso di Gros Pietro dalla fusione di San Paolo Imi con Banca Intesa e ha trovato casa nel grattacielo più alto di Torino, accollandosi quanto rimaneva di Popolare di Vicenza e Veneto Banca, che aveva come debitori eccellenti l'ex attaccante della Juventus, Roberto Bettega e Renato Bialetti, volto del Carosello.

Fallite, le ha acquistate a prezzi stracciati. Da parte sua, il dinamico Pietro Giuliani, presidente di Azimut, anch'essa nata sotto la Mole, si è accaparrato i private banker dal portafoglio clienti più interessante.

Entrambi gli istituti si fanno promotori di iniziative artistiche e culturali nel difficile passaggio di Torino da capitale dell'auto a centro di cultura. E durante i viaggi in treno fino a Milano Centrale, i loro consulenti e promotori finanziari si chiedono continuamente del destino della collezione d'arte del munifico mecenate Riccardo Gualino,

Impresario cinematografico, abitava dove ora c'è la Fondazione Agnelli: aveva quadri di Defendente Ferrari, Felice Casorati, Ardengo Soffici, tappeti e statue orientali.

Lo ho ha spiegato Claudio Bermond della Scuola di Management e Economia dell'Università di Torino che ha presentato il suo "La parabola imprenditoriale di Riccardo Gualino", il capitano d'industria che fu, tra l'altro.

anche manager della Banca Agricola Italiana, confluita nell'Istituto bancario San Paolo.

Ma, tra le due guerre mondiali, non c'era il recente fondo interbancario in favore della finanza: il cosiddetto salvabanche. Tanto che l'illuminato biellese è fallito, anche per il suo insanabile contrasto con il Duce, che teneva d'occhio il suo patrimonio, attraverso l'Iri e la Banca d'Italia.

Per questo si tratta di una biografia di scottante attualità in un momento in cui, oltre a monitorare la stabilità del sistema creditizio, si tende sempre più a investire in opere d'arte. Così, parte delle collezioni di Gualino è ora esposta alla Galleria Sabauda, il resto è stato confiscato dalla Bankitalia e custodito nei caveau del romano Palazzo Koch con grande rammarico dei torinesi.