I tagli nella scuola, fatti passare come una necessaria misura per la riduzione dei costi, come se migliaia di persone occupate a lavorare fossero uno spreco per il nostro paese, hanno creato tanta disoccupazione mentre non hanno ridotto il debito: anzi hanno solo portato altre spese. Messe da parte 200.000 mila persone, rimaste senza lavoro, i fondi destinati all'Istruzione dove sono finiti?
Anziché nelle tasche di famiglie italiane che con 900 euro al mese (bidelli), 1000 euro (assistenti) e dai 1200 ai 1500 circa (docenti di vario grado) riuscivano ad avere una vita dignitosa, sono finiti altrove, nel concorso, nei TFA, nelle migliaia di cause intentate per violazioni di diritti da parte del Miur, nel sostegno alle scuole private e in tanti altri sprechi.
A conti fatti di certo tutto ciò ha superato di gran lunga la somma necessaria per pagare i precari della scuola ed ha attuato una politica di controtendenza rispetto al passato: un tempo la politica, seppur era piena di sprechi e furti, non toglieva lavoro ma lo creava dentro la macchina pubblica: questa è la strada per uscire dalla crisi.
Creare lavoro. I bisogni della comunità sono tantissimi e non dare soldi all'impresa che invece ha bisogno solo di meno tasse. Così con la scusa del risparmio docenti che per anni hanno lavorato nella scuola in nome di necessari tagli per ridurre le spese necessarie del paese sono rimasti senza lavoro e senza potere d'acquisto: la lamentela della scuola è oggi sui tagli non sul reclutamento e poi sugli effettivi sprechi del paese.
Alla scuola pubblica, alla sanità e alla sicurezza i pilastri dello Stato sono stati chiesti sacrifici mentre la politica ha continuato a godere di privilegi della casta e della possibilità di vivere a sbafo della povera gente, si è tolto al povero il necessario per non levare al ricco il superfluo.
Vigilare sulla salute e l'integrità fisica degli alunni giustificava la presenza di tanti bidelli, che dovevano essere attenti controllori della preziosa gioventù italiana che vive in una società pericolosa, dove le stesse scuole rischiano di essere i luoghi più facili per l'adescamento dei giovani dalla criminalità. Ecco perché ben venga la presenza di più bidelli che carabinieri (tra l'altro non si dimentichi che anche sicurezza e sanità hanno provato la scure dei tagli), solo chi non conosce la realtà delle scuole italiane di oggi poteva asserire ciò.
A parte la necessità di personale docente e Ata per far funzionare la scuola italiana, c'è anche altro che rende ingiustificabile l'accanimento contro il personale scolastico e cioè i numeri contabili del bilancio statale.
L'immissione in ruolo dei precari della scuola è stato detto di recente è e sarebbe stato un fatto positivo: la stabilizzazione non è un favore accordato ai precari anzi il finanziamento di 3 miliardi per realizzarla non è un investimento ma un risparmio. Con la stabilizzazione dicono gli addetti ai lavori lo Stato risparmia dai 600/650 milioni di costi burocratici (oneri riflessi e Tfr annuali elargiti solo a fine carriera), per non parlare poi delle somme dovute come indennità di disoccupazione Aspi e mini-Aspi e altri risparmi. Un banalissimo esempio su uno stipendio annuo medio di 31.305,25 euro un precario costa in più allo stato 2.641,70 euro tale cifra moltiplicata per 149 mila significa 393,61 milioni risparmiati in un anno. E intanto il rischio infrazione si avvicina con la sentenza di ottobre dell'Ue.