Nell'ambito della riforma delle Pensioni il Ddl sulla concorrenza ha previsto alcune modifiche che sono state fortemente criticate dal presidente dell'Associazione dei fondi pensione negoziali. Michele Tronconi di Assofondipensione, come troviamo in un articolo pubblicato da PMI.it, ha chiesto all'esecutivo 'renziano' di rimettere mano al provvedimento emendandolo in maniera adeguata.
Esistono punti in cui è forte l'incoerenza con il sistema di previdenza nel suo complesso. L'intervento di Tronconi è avvenuto nella sede dell'audizione dell'ente da lui presieduto dinanzi alla Commissione Parlamentare che si occupa di verificare il lavoro degli enti previdenziali obbligatori.
Che la riforma delle pensioni fosse argomento complesso e delicato se ne era avuta ampia sensazione nelle settimane precedenti con gli interventi di Poletti e Boeri auspicanti l'ingresso di maggiore flessibilità per anticipare la pensione. Ma nella parte del Dl che riguarda i fondi pensione ci sono elementi discriminatori che rischiano di creare una concorrenza interna dannosa tra i fondi stessi.
Nella fattispecie è la portabilità degli stessi a finire sotto al lente di ingrandimento degli addetti al settore per la possibilità di scatenare una guerra fratricida a discapito della stabilità del sistema generale. E sarebbe un peccato, come prosegue nel suo pezzo Pmi.it, perché le performances dei rendimenti negli ultimi anni sono state molto buone. Viene sottolineato come il Tfr rivalutato al minimo storico dell'1,3% infatti, si contrappone ad un rendimento del + 7,3% dei fondi negoziali, un +7,3% dei fondi negoziali e un 7,2% dei PiP.
E' lo stesso Tronconi a precisare il concetto quando si entra nel dettaglio parlando di posizione media capitaria in relazione al numero delle adesioni ai fondi pensione.
Nel caso dei negoziali, la crescita nel 2014 è pari al +15,3%, quelli aperti registrano un incremento dell'8,9% mentre i PiP aumentano in misura inferiore; solo il 5,4%. Questo perché c'è una regolarità superiore di contribuzione di fondi negoziali per l'azione a sostegno del datore di lavoro. Questo sconfessa quanti credono che le forme complementari siano in qualche modo più remunerative rispetto a quelle tradizionali.