Come noto, la legge n. 228/84 riconosce una prestazione economica erogata mensilmente (pensione oppure assegno) al lavoratore in possesso di almeno 5 anni di contribuzione, di cui almeno 3 anni nel quinquennio precedente la presentazione della relativa domanda.

Quando spetta l’assegno e quando la pensione?

  • L’assegno ordinario di invalidità viene concesso se al lavoratore viene riconosciuta una riduzione della capacità lavorativa a meno di 1/3.
  • La pensione di inabilità, invece, viene riconosciuta in favore dei lavoratori ai quali viene accertata l’assoluta e permanente impossibilità a svolgere qualsiasi attività lavorativa.

L’importo di entrambe le prestazioni varia a seconda degli anni di contribuzione che, come detto, devono essere almeno cinque, ed in base al sistema di calcolo applicato, il quale può essere misto (una quota calcolata con il sistema retributivo e una calcolata con il sistema contributivo), oppure contributivo, se il lavoratore ha iniziato a svolgere la sua attività a partire dal 1° gennaio 1996.

Inoltre, in caso di riconoscimento dell’assegno, il lavoratore può continuare a lavorare, mentre il versamento della pensione prevede la cessazione dell’attività lavorativa e/o la cancellazione da elenchi o albi professionali.

Cassazione, sentenza n. 4710/2016 del 10 marzo 2016

Con la recentissima sentenza della Corte di Cassazione, i Giudici hanno dichiarato che "l’invalidità va verificata alla luce della capacità lavorativa del richiedente: non si tratta quindi di dover accertare un dato biologico, bensì di valutare se le attitudini dell’assicurato possono essere espletate".

Più difficile sarà, pertanto, ottenere l’assegno di invalidità, in quanto la verifica della presenza di una patologia non deve essere effettuata con riferimento al dato biologico, ma tenendo conto della capacità lavorativa intesa come riduzione effettiva della possibilità di svolgere le attività/mansioni da parte del lavoratore.

Ciò vuol dire che bisognerà valutare in concreto le condizioni del richiedente, in relazione all’età, alla formazione ed al profilo professionale, e se tali fattori possono o meno avere un’incidenza sulla capacità a svolgere le attività lavorative fino a quel momento esercitate.

Nella sentenza, i giudici utilizzano l’espressione "personalità professionale del lavoratore", che non è data dalla somma di ogni singola patologia o delle percentuali di invalidità richiamate dalle relative tabelle, ma da un parametro che attiene al quadro morboso generale e complessivo del richiedente. Di conseguenza, la personalità professionale andrà accertata in relazione alle attitudini del lavoratore.