Uno degli atti più urgenti che deve essere messo in piedi dal nuovo Esecutivo Gentiloni è sicuramente il rinnovo del contratto dei dipendenti pubblici. Lo scorso 30 novembre, Madia in rappresentanza del Governo e sindacati, con la presenza dei tre segretari generali della triplice (CGIL, CISL e UIL) hanno sottoscritto l’accordo circa lo sblocco ed il rinnovo del contratto dei Dipendenti Pubblici.

L’accordo era il primo step di una vicenda che va risolta da troppo tempo. Esso fissava il punto di partenza del rinnovo, con un accordo su 85 euro di aumento pro capite. Adesso, il Governo è chiamato a partorire l’atto di indirizzo, cioè a provvedere al completamento dell’operazione rinnovo. La situazione però sembra ancora in alto mare, soprattutto perché le tanto sbandierate cifre concesse ai lavoratori (85 euro), anche se lorde, sono improponibili dal punto di vista delle coperture.

Come spalmare gli aumenti

Si parte dalla cifra di 85 euro per lavoratore, che per i sindacati dovevano rappresentare il minimo concesso a ciascun dipendente.

Per il Governo invece, le 85 euro sono l’aumento medio concesso e soprattutto, sono cifre lorde, non nette. La distinzione è molto importante perché non saranno 85 euro a testa, i soldi in più che i lavoratori si troveranno in busta paga. Innanzitutto, servirebbero 5 miliardi di euro per definire totalmente il quadro. Il Governo ha in mente di provvedere a mettere a posto la situazione in un triennio, cioè dal 2016 al 2018. Probabilmente, sarà da fine 2018 che gli aumenti saranno più cospicui per i dipendenti. Un articolo pubblicato sul quotidiano "Il Messaggero" di ieri 3 gennaio parla proprio dei 5 miliardi necessari e che ad oggi non sono una cifra che il Governo può permettersi di spendere.

Sembra infatti che la coperta arrivi a poco più di 3 miliardi, pertanto sarà necessario intervenire con misure ad hoc per agevolare magari i dipendenti che a livello reddituale hanno pagato maggiormente il blocco e la crisi. Anche il meccanismo meritocratico previsto dalla riforma Brunetta poi andrà per forza di cose corretto e questo è uno dei punti cardine dell'accordo. Dividere i dipendenti secondo le categorie di merito previste dall'allora Ministro del Governo Berlusconi, significa lasciare senza premi una grande fetta di lavoratori.

Problema Bonus

Lo sblocco del contratto è un atto dovuto perché da troppo tempo atteso (oltre 7 anni) e soprattutto perché parte da una sentenza della Corte Costituzionale sulla Legge Fornero che con il Decreto "Salva Italia" di Monti stoppò gli stipendi e li bloccò rispetto alla perequazione annuale spettante.

La data di partenza del rinnovo è uno dei cavilli da risolvere in sede di atto di indirizzo da parte dell’Esecutivo. SI partirà da gennaio 2016 come voleva il Governo Renzi o da luglio 2015, giorno della pronuncia dei Giudici Costituzionalisti? Ancora più pesante per il Governo è la detonazione del rischio che a causa di questi aumenti, per qualcuno venga perso il Bonus di 80 euro previsto da Renzi.

Infatti, potrebbe succedere che a fronte di pochi euro di aumenti al mese previsti per un rinnovo che ricordiamolo, deve essere per forza fatto, i lavoratori potrebbero sforare la soglia dei 26.000 euro annui che non darebbe diritto a percepire il Bonus da 80 euro o che lo renderebbe ridotto. In parole povere, per qualcuno l’aumento potrebbe essere addirittura controproducente.

Nell’accordo di novembre poi, non si parlava della vacanza contrattuale e quindi della relativa indennità. Nei periodi in cui il contratto risulta scaduto, ai lavoratori toccherebbe una indennità mensile pari al 33% circa dell’inflazione media calcolata dai dati Istat. Da quando il contratto è bloccato, questa indennità non è mai stata pagata ed essendo ben 7 anni il periodo di assenza di contratto, le cifre potrebbero essere ingenti.