Siamo in crisi, abbiamo bisogno al piùpresto di un governo o i mercati ci uccideranno, siamo di nuovo sull'orlo delbaratro, è necessario che ognuno si prenda le proprie responsabilità, il debitopubblico ci sta soffocando, servono politiche per la crescita. Queste e millealtre dichiarazioni sulla medesima linea d'onda potrebbero far apparire lanostra classe dirigente sinceramente preoccupata per la situazionedell'economia ed in febbrile ricerca di una soluzione che sblocchi l'impasse.Peccato che come accade sovente nella nostra bella Italia, ci stiano scaricandoaddosso la solita cascata di menzogne.
Il Presidente della Repubblica ci diceche è indispensabile formare al più presto un governo in quanto "la crisinon attende" e bisogna fare quanto prima "le riforme che ci chiedel'Europa." Ora, sorvolando temporaneamente sul fatto che è proprio lasciagurata unione monetaria in cui ci hanno catapultati la causa principaledell'agghiacciante condizione economica italiana, occorre chiarire che i puntiprogrammatici -o agende che dir si voglia- presentati dai vari partiti in cercadi un più o meno dichiarato inciucio per ottenere la numericamente impossibilemaggioranza al Senato, sorvolano tutti sui famosi quaranta miliardi di euro chel'Europa ci chiede in virtù dello sciagurato accordo, ratificato con legge del23 luglio 2012, noto col nome involontariamente ironico di "Trattatosulla stabilità" o Fiscal Compact.
Nessuna delle suddette forze politichepare avere la minima idea di dove trovare i fondi per questa colossale mazzatae perciò ignorano in toto l'argomento. Al contrario dicono tutti (o quasi) divoler abbattere i folli costi della politica, misura che pur essendo necessariaper evitare rivolgimenti di massa contro una sempre più odiata classedirigente, non risolverebbe nemmeno uno dei problemi che ci affliggono.
Basticonsiderare che i tanto famigerati costi della politica (che come dicevoandrebbero si abbattuti per una questione di principio e buonsenso, ma giammaiingigantiti fino a far apparire la loro scomparsa panacea d'ogni male)rappresentano appena lo 0.1% del PIL. Quisquilie a tutti gli effetti insomma.
Per cui, mentre le forze politichecercano un'intesa -e chissà che non l'abbiano in gran segreto già trovata- econtinuano senza pudore a disquisire sugli aleatori otto punti di Bersani, gliacciacchi di Berlusconi e le fughe dell'incappucciato Grillo (per fortuna chealmeno Monti pare aver abbandonato il suo cagnolino e sta limitando leapparizioni televisive per recuperare un pizzico d'autorevolezza disintegratadalle magre figure rimediate in campagna elettorale e guadagnarsi una nicchianel nuovo -eventuale- esecutivo), un coro sempre più nutrito di voci si levacontro l'austerity e soprattutto si moltiplicano le dichiarazioni contro l'euroal di fuori dell'universo web; con economisti fino a poco fa considerati"eretici" quali il professor Bagnai o Claudio Borghi che compaiono inprima serata o in programmi mattutini ad esporre quella che per loro èun'evidenza dei fatti supportata dall'opinione di premi nobel dell'economia eda varie teorie economiche: e cioè che l'euro non poteva funzionare e stauccidendo la nostra economia.
E se perfino insospettabili come l'exministro del governo Prodi Vincenzo Visco, a maggio dichiaravano che "un'Italiafuori dall'euro, visto il nostro apparato industriale, poteva fare paura amolti, incluse Francia e Germania che temevano le nostre esportazioni prezzatein lire. Ma Berlino ha consapevolmente gestito la globalizzazione: le servivaun euro deprezzato, così oggi è in surplus nei confronti di tutti i paesi"non c'è da stupirsi se il fronte anti euro raccoglie sempre più consensi.
Tuttavia la classe dirigente pareignorare questo fenomeno e quotidiani prestigiosi diffondono strani sondaggisecondo cui soltanto l'1% degli italiani vorrebbe uscire dall'euro. Behpotrebbe anche darsi (ma permettetemi di dubitare), ma questo risultato, fosseanche veritiero, sarebbe figlio della sistematica disinformazione che da diecianni ci invade il cervello presentando scenari apocalittici in caso diun'uscita dall'euro ed ingigantendo in continuazione gli ormai celeberrimi"dividendi dell'euro" che avremmo sprecato.
Ok siamo stati frivoli,indegni e certo abbiamo una classe dirigente abbastanza vergognosa, un debitopubblico alto e tutto il resto. Ma questi fattori anche sommati non sono certocausa della crisi che ci affligge, e prova ne sia che nel nostro medesimo statoversano paesi considerati virtuosi come Spagna ed Irlanda, tutti accomunati daun problema di indebitamento estero causato in gran parte dagli squilibricongeniti all'euro zona. E non mi si venga a parlare di bolle immobiliariperché è lampante che senza euro non si sarebbe verificata alcuna bolla di queltipo.
Quindi mentre da noi i primi sprazzidi sereno squarciano le nubi del pensiero unico, negli altri stati europeinascono partiti anti euro un po' ovunque (e questo potrebbe portare adun'uscita di Francia o Germania con conseguente fine dell'unione monetaria), inGermania due tedeschi su tre vogliono l'uscita dall'euro.
Non vogliono pagareper gli altri, anche loro subissati da una campagna mediatica decennale anti"pigs" volta a celare gli innegabili vantaggi dello stato tedescoadottando l'euro. In Portogallo una manifestazione denominata "la Troikavada a quel paese" ha portato quasi un milione di persone in piazzasoltanto qualche giorno fa.
Insomma mentre ovunque si discute sulfuturo dell'Europa, da noi ancora una volta si perde tempo e quasi non se neparla. La politica si occupa soltanto di casta e debito; preoccupatissima per isuoi preziosi scranni e restia ad ammettere i terribili errori del passato.Tanto che ancora una volta rischiamo di subire una decisione imposta da altrisenza aver preso le necessarie contromisure. E allora si che sarebberodolori.