Non è una terra facile la Calabria. Aspra e selvaggia come la sua gente, la Calabria conserva ancora intatto il codice culturale della ndrangheta. Assurta agli onori della cronaca per le numerose azioni di polizia, arresti, che ancora la fanno essere bandalzosa, in poco tempo ha esportato il suo modello internazionalizzandosi ed ancora oggi detta le sue regole. La ndrangheta trova la sua forza nella famiglia.

Ogni adepto è legato all’altro da un patto di sangue, e l’omertà è un meccanismo di conservazione, in quanto da queste parti il “sangue si arrostisce, ma non si mangia”, ed i rapporti parentali si tutelano ad ogni costo. Niente avviene senza che la ndrangheta non voglia e si vive solo se ci si mette “in regola”, ossia se si paga il pizzo senza batter ciglio. Chi ha un’attività imprenditoriale lo sa benissimo. Chi spezza il muro di omertà deve mettere in conto che, “alla scordata”, come si dice in Calabria, la pagherà, ma quando si vive un’ingiustizia e non ce si fa più a sopportare, si va fino in fondo; si tratta di vivere da uomini liberi o da asserviti a tale logica.

Un servizio televisivo per raccontare la storia di chi si ribella

Tutto ciò è emerso chiaramente dal racconto vissuto e spiegato da quattro persone, imprenditori e agricoltori, che sono sotto il programma di protezione perché hanno rifiutato di mettersi a posto. La storia è stata raccontata da un servizio andato in onda venerdì scorso dal titolo “Cose nostre”. Le cose non vanno diversamente anche per chi scrive e con senso di responsabilità racconta i fatti, come il giornalista Michele Albanese, anche lui sotto scorta per aver osato denunciare attraverso il suo mestiere di cronista. Guai a voi, dice la Ndrangheta. Guai a raccontare. Guai a tradire il codice d’onore, ma questa gente che ammazza senza pietà, che intimorisce, che manda segnali espliciti attraverso attentati dinamitardi ad attività che si rifiutano di pagare il pizzo di che onore parlano?

Facile imbracciare fucili e tendere agguati, o compiere vendette trasversali per esercitare il potere e far intendere che le loro regole devono essere rispettate. Ne sa qualcosa Don Giacomo Panizza, guida della comunità “Progetto Sud”, che ripetutamente è stato minacciato e che sei giorni fa ha visto dare alle fiamme alcuni dei terreni appartenenti alla cooperativa. La zona ad essere compromessa è una delle serre dove si coltivavano pomodorini, segno che la ndrangheta rivuole i suoi terreni e non ci sta che siano lavorati legalmente, che la ricchezza venga equamente distribuita per far decollare un territorio impoverito da chi agisce come una sanguetta, spolpandolo tutto. Sono episodi di ordinaria quotidianità i continui incendi che si stanno verificando ultimamente, tanto da cadere nell’indifferenza, invece di portare la classe politica ad agire adeguatamente per contrastare un fenomeno che toglie il respiro e poi la vita.

Criminalità e politica

La cosa incredibile è che la ndrangheta ha permeato di sé comportamenti e metodi da adottare, specialmente nelle stanze del potere, potere con il quale non disdegna di portare avanti i suoi progetti. Di questo passo non si arriva da nessuna parte, perché per due, tre che si ribellano, tutta la restante parte della società civile gira la testa dall’altra parte, continuando indirettamente a mantenere all’apice persone che non sono degne di rispetto. La ndrangheta è una holding del crimine. Decide politici da eleggere, dirigenti che devono coadiuvare i governanti negli affari, il personale da assumere, altro che meritocrazia. Per sopravvivere si deve essere dalla loro parte.

Sono dappertutto. Altro che politici onesti che non dovrebbero sedere vicino ai disonesti. Quaggiù più si è condannati, più la si franca, più si diventa eroi. Eroe dell’illegalità o del malaffare poco importa. Quando la società civile preferisce non sapere il malavitoso sa di potersi muovere abilmente, perché chi parla e denuncia è un infame e gli infami vengono messi al bando.