22 maggio 2010: l'apoteosi - 15 settembre 2016: la vergogna. Possiamo sintetizzare così le ultime sei stagioni del popolo interista; un popolo letteralmente affranto dopo la sconfitta con l'Hapoel Beer Sheva, squadra sicuramente alla portata della compagine milanese. Ieri sera i tifosi dell'Inter non sapevano più cosa pensare, cosa dire e cosa fare per giustificare o trovare una motivazione alla pessima prestazione della loro squadra del cuore.

San Siro, conosciuto da tutto il mondo calcistico come "La Scala del calcio", si è trasformato nel teatro degli incubi per tutti. Perdere in casa fa sempre male - in Europa ancora di più - ma essere sconfitti in questo modo diventa un vero e proprio "suicidio" per chi gioca e per chi sostiene. L'unico giocatore a salvarsi nello scempio di ieri sera è stato Samir Handanovic, il quale ancora una volta ha dimostrato di essere un portiere di caratura mondiale, non meritando di stare in una società come l'Inter, visto che i suoi connazionali giocano in Champions con squadre attualmente più organizzate, come Oblak dell'Atletico Madrid. Ma cos'è successo all'Inter?

Dov'è finito lo spirito vincente culminato con la vittoria dell'ex Coppa dei Campioni?

La risposta è molto semplice: le scelte. Moratti, quando divenne presidente negli anni '90, diede il cuore (e il portafoglio) per il colori della sua vita, portando campioni che resteranno per sempre nel cuore degli sportivi: Zanetti, Recoba, Ronaldo (quello vero), Vieri e cosi via. Tutti giocatori che, eccezion fatta per il Capitano, non sono riusciti a vincere la coppa che Massimo Moratti desiderava conquistare proprio come aveva fatto il padre negli anni '60.

Il presidente, ormai stanco di aspettare, fece l'ultimo sforzo, portando a Milano uno degli allenatori più vincenti dell'ultimo decennio, un "certo" Josè Mourinho, e tutti sappiamo come finì questo amore: riuscì a trasformare Milito in un bomber di razza, Eto'o in versione tutto fare, ed un terzino come Maicon che bruciava letteralmente l'erba.

Da lì in poi, il buio. 

L'Inter si trova ad essere l'unica squadra italiana ad aver conquistato il Triplete, ma ora è in una situazione tragica. Moratti, a malincuore, si è trovato costretto a vendere la sua "creatura" per curarla dalle ferite economiche riportate e, per ora, Thohir e soci stanno riuscendo a risollevare i nerazzurri dal punto di vista economico, ma manca sempre qualcosa. La rosa, sulla carta, potrebbe tranquillamente aspirare ad un posto per la prossima Champions League, ha uno degli allenatori più preparati a livello europeo dal punto di vista tattico, ma non scatta quella scintilla necessaria a diventare grandi. 

Manca la passione, l'amore, il sostegno di essere interisti anche nei momenti più brutti.

Sono andati via tutti gli uomini del Triplete, ed anche se Zanetti è rimasto in società, tutto ciò non basta più. Servono non giocatori forti, ma calciatori che, come quella squadra leggendaria, amino la maglia più della loro vita, perché essere un giocatore dell'Inter non è un punto di partenza, ma un punto d'arrivo. Si dice che con i soldi non si compra la felicità, per questo in casa nerazzurra serve quella svolta che faccia scorrere il sangue interista nelle vene di chi veste quella gloriosa maglia.