Alla fine del terzo giro di consultazioni convocate dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, si potrebbe dire gattopardescamente che tutto è cambiato affinché tutto rimanesse com'era. Posizioni immutate, veti incrociati, irritazione quirinalizia. E la mossa, ampiamente annunciata, del Capo dello Stato: l'appello ai partiti affinché consentano la nascita di un Governo "neutrale".

Un tentativo che, tuttavia, sembra ampiamente destinato al fallimento.

Il discorso del Presidente

Non che non le abbia provate tutte, Mattarella. Due tornate di consultazioni, per verificare la possibilità di una maggioranza politica che i diretti interessati hanno sempre rifiutato. Il Presidente della Repubblica aveva già fatto capire di escludere l'eventualità di un ritorno alle urne, ma anche l'ultimo appello rivolto alle forze politiche perché trovassero un'intesa è caduto nel vuoto. Anche per questo, il volto e lo sguardo del Capo dello Stato al momento del discorso serale trasudavano fastidio ed esasperazione.

Mattarella ha dovuto prendere atto dell'insuccesso di tutte le opzioni generate dalle elezioni del 4 marzo. E, prendendo personalmente l'iniziativa, ha chiesto a tutti i partiti di permettere la nascita di un Governo "di servizio", che si occupi di mettere a punto il Def e la Finanziaria, di neutralizzare l'aumento dell'Iva, e magari di rimettere mano alla legge elettorale, per poi traghettare nuovamente il Paese alle urne all'inizio del 2019.

Qualora questo esecutivo "di garanzia" non ottenesse la fiducia delle Camere, si tornerebbe giocoforza a elezioni anticipate: a luglio, ma con il problema dei tempi tecnici per il voto degli Italiani all'estero e l'incognita affluenza; o in autunno, ma con il rischio di non riuscire poi a evitare l'esercizio provvisorio di bilancio e l'aumento dell'Iva.

Se invece si riuscisse a trovare l'intesa per una maggioranza politica dopo il varo del Governo neutrale, questo decadrebbe e sarebbe subito sostituito.

Le reazioni delle forze politiche

Il problema di fondo è questo esecutivo non ha praticamente alcuna chance di ottenere la fiducia del Parlamento. Le uniche forze politiche di un certo peso che hanno aperto alla possibilità di sostenere un Governo di garanzia sono il Partito Democratico e Forza Italia: troppo poco, di fronte al netto diniego opposto da Lega e M5S.

Il leader del Carroccio Matteo Salvini, così come la presidente di Fratelli d'Italia Giorgia Meloni, hanno subito ribadito che il voto degli Italiani deve essere rispettato: perciò, o nasce un Governo di centrodestra (prima coalizione alle elezioni del 4 marzo scorso), o è meglio tornare alle urne il prima possibile, anche in estate.

Esclusa totalmente, invece, l'idea di votare la fiducia a un Governo tecnico.

Stesso concetto espresso, in maniera meno articolata, anche da Luigi Di Maio. Del resto, il leader grillino non si era mai detto disponibile a un esecutivo del Presidente: e ha mantenuto il punto, anche se gli era costato (secondo indiscrezioni) il favore di Mattarella. D'altronde, non era che l'ultimo di una lunga serie di errori strategici che, dicono i beninformati, hanno spinto i vertici pentastellati a mettere sotto accusa lo stesso Di Maio dopo il doppio flop alle Regionali.

Insomma, a meno di colpi di scena che in questo momento sembrano improbabili, la strada del Governo neutrale appare già in salita. Ancora una volta, tutto sarebbe cambiato: ma solo affinché tutto rimanesse com'era.