Uno dei luoghi comuni della politica italiana afferma che le Regionali facciano storia a sé, e dunque non dovrebbero avere ripercussioni a livello nazionale. Una regola che ha le sue eccezioni, se si pensa che la sconfitta dei DS alle Regionali del 2000 costò all'allora Premier Massimo D'Alema la poltrona di Presidente del Consiglio. In questi giorni, al voto sono andate due regioni che normalmente non sono annoverate tra le più decisive, o indicative - il Molise e il Friuli. Ciononostante, il segnale lanciato (nuovamente) dagli elettori è molto chiaro.
E, probabilmente, starà creando nuovi grattacapi al Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella.
Gli errori degli sconfitti
Se c'è uno scenario che il Capo dello Stato vede come il fumo negli occhi è l'eventualità di un nuovo ricorso alle urne. Ecco perché il Quirinale non deve aver gradito l'esternazione post-elettorale di Luigi Di Maio, che ha invocato elezioni anticipate entro la fine di giugno: una circostanza, peraltro, praticamente impossibile, in quanto ci sarebbero i tempi costituzionali ma non quelli tecnici. Il leader pentastellato è il grande sconfitto della tornata che ha lanciato Donato Toma e Massimiliano Fedriga - e la coalizione di centrodestra che sosteneva i due candidati Governatori.
Soprattutto in Friuli, il M5S ha subito una vera e propria disfatta, sostanzialmente dimezzando la percentuale dei consensi rispetto alle Politiche di neanche due mesi fa. Il sospetto è che i grillini stiano pagando caro una serie di errori strategici: a partire da quella "politica dei due forni", di democristiana memoria, che ha portato il Movimento a flirtare prima con Matteo Salvini e poi con il nemico di sempre, quel Partito Democratico contro cui si lanciavano strali solo pochi giorni prima.
Una tattica che la base pare non comprendere, giudicandola opportunistica - un tradimento dei valori costitutivi del MS5. Una strategia che, inoltre, è risultata inefficace anche verso gli altri partiti, che nell'idea di Di Maio avrebbero dovuto sostanzialmente appoggiare il suo Governo e il suo programma gratis et amore Dei: che un simile tentativo fosse destinato a naufragare era scontato per tutti, tranne (a quanto pare) che per il diretto interessato.
Certo, c'è sempre la Direzione Pd del 3 maggio che potrebbe rimescolare le carte, ma anche questa evenienza sembra improbabile. Matteo Renzi ha messo una pietra tombale sul dialogo col M5S, e la maggior parte dei parlamentari dem segue la sua linea. Le recenti regionali non hanno avuto particolari effetti sulla crisi del centrosinistra - anzi, ne hanno bloccato l'emorragia di voti, verosimilmente a danno del M5S. Semmai, il risultato più eclatante è stato quello di far uscire allo scoperto tutti i risentimenti covati sotto la superficie. In Direzione ci sarà l'ennesima conta: e poi, con tutta probabilità, l'ennesimo redde rationem.
Le manovre dei vincitori
Nel frattempo, il centrodestra si gode un altro trionfo.
I numeri delle Regionali certificano ulteriormente quanto già era stato attestato il 4 marzo: la coalizione guidata da Salvini, Berlusconi e Meloni è la più in salute, e al suo interno la lega la fa da padrone. Il leader del Carroccio è probabilmente percepito dagli elettori come garante dell'unità, ma anche come simbolo di lealtà, avendo rifiutato di disfare l'alleanza per cedere alle avances pentastellate. Malgrado i successi, Salvini non si sta "montando la testa". Non pone come pregiudiziale la propria premiership (a differenza dei grillini), considerando dirimente solo che il Governo sia espressione del centrodestra, come indicato dagli elettori il 4 marzo. E continua a lavorare per la formazione di un esecutivo (ponendo un unico veto, sul Pd), allontanando la tentazione di un ritorno alle urne che pure, stando ai sondaggi, ne rafforzerebbe la leadership.
Intanto, Mattarella osserva e riflette in silenzio. Secondo ricostruzioni giornalistiche, il Capo dello Stato sarebbe intenzionato a convocare un terzo - e verosimilmente ultimo - giro di consultazioni; in subordine vorrebbe provare a dar vita a un "Governo di tregua" che vari la legge Finanziaria e, possibilmente, cambi la legge elettorale. Non sfugge infatti al Presidente della Repubblica che votare nuovamente col Rosatellum, a così poca distanza dalle precedenti Politiche, rischia di riproporre un quadro caratterizzato da un'eccessiva frammentazione. È un altro dei motivi per cui il Quirinale appare restio a far tornare l'Italia alle urne: se non come extrema ratio, e comunque non prima del prossimo autunno.