Donald Trump come Al Capone? Non ci riferiamo certamente ad imprese criminali, il vulcanico miliardario newyorkese passerà alla storia americana per ben altro, comunque vadano le elezioni presidenziali del prossimo mese di novembre. Ma se quanto sostenuto dal "Telegraph" corrisponde al vero, potrebbe andare sotto processo con l'accusa di evasione fiscale, proprio come accadde al celebre gangster negli anni '30.

La presunta frode fiscale sarebbe avvenuta nel 2007

I fatti resi noti dal quotidiano britannico si riferiscono al 2007 quando "The Donald" aveva concluso un affare con la "Bayrock Group", società immobiliare che stava realizzando a New York il grattacielo "TrumpSoHo". Tra gli accordi chiusi in quel periodo da Trump anche quello con la FL Group, azienda islandese che stava conducendo un affare da oltre 50 milioni di dollari con alcune società legate a Bayrock. L'investimento in questione sarebbe stato "camuffato" dall'imprenditore, invece di una vendita sarebbe stato registrato alla voce di "prestito" che nello Stato di New York non è soggetto a tassazione.

Nel caso di una vendita invece, Trump avrebbe dovuto pagare al fisco quasi il 40 per cento in tasse dei profitti futuri dell'affare, a conti fatti avrebbe pertanto evitato il pagamento di tributi ed imposte per oltre 80 milioni di dollari. Il "Telegraph" sarebbe entrato in possesso dei documenti firmati a suo tempo da Trump che comproverebbero la frode e li avrebbe inviati al diretto interessato ed ai suoi legali per una replica.

La replica degli avvocati

Alan Garten, avvocato di fiducia di Trump, ha replicato alla testata britannica. "Il mio assistito non aveva nulla a che fare con quella transazione e firmando quei documenti si è limitato a riconoscerla come socio accomandante. Pur firmando, non stava approvando l'accordo".

Diversa l'opinione del "Telegraph" e nel caso in cui la documentazione resa pubblica venisse riconosciuta dal fisco come veritiera, sarebbero guai molto seri per il candidato repubblicano. E tra un guaio e l'altro, sono anche ripresi i disordini durante i suoi comizi, l'ultimo dei quali in Nuovo Messico è stato caratterizzato da numerosi arresti. Forti le contestazioni di un gruppo di manifestanti che lo ha accolto al grido di "fascista".

Nomination sempre più vicina

Dal punto di vista elettorale, Donald Trump attende soltanto la data del 7 giugno in cui arriverà la nomination virtuale che sarà poi ufficializzata alla convention repubblicana del prossimo mese di luglio. L'ultimo turno di primarie lo ha visto ottenere il solito plebiscito, stavolta nello Stato di Washington, dove ha sfondato il muro del 76 per cento dei consensi e raggiunto quota 1.209 delegati.

All'appello ne mancano appena 28 che saranno largamente ottenuti nell'ultimo "Super Tuesday", con le primarie in programma in ben sei Stati tra cui California e New Jersey. Ma sebbene Trump continui ad avere indiscutibilmente il sostegno della gente, il Partito Repubblicano prosegue ad essere tutt'altro che unanime dinanzi alla sua candidatura. Paul Ryan, speaker della Camera, considerato fino ad un mese fa un possibile "candidato dell'ultima ora", ha infatti ribadito che non sosterrà la corsa elettorale di Trump. "Non posso appoggiare un candidato che non ha mai fatto politica - ha detto Ryan - e che non ha mai occupato una carica elettiva".