Le parole pronunciate da Eugenio Scalfari martedì scorso, 21 novembre, durante la trasmissione di La7 DiMartedì, condotta da Giovanni Floris, sono ormai rimaste scolpite nell’immaginario collettivo degli italiani. “In caso di estrema necessità di un’alleanza con berlusconi il Pd può farla – ha sentenziato il fondatore di Repubblica, aggiungendo poi – chi voterei tra Di Maio e Berlusconi? Sceglierei Berlusconi”.

Il gelo calato nello studio televisivo ha rappresentato solo la metafora di quanto accaduto nel paese, soprattutto tra il cosiddetto ‘popolo della sinistra’ che per decenni aveva visto il quotidiano di Carlo De Benedetti ergersi a paladino indefesso dell’antiberlusconismo. Oggi che scalfari ha scelto di compiere questa giravolta a 360 gradi (di cui comunque gli addetti ai lavori, politici e giornalisti, non si sono poi tanto stupiti), risulta utile ricordare i tempi in cui, con i suoi editoriali al curaro, il Fondatore non faceva sconti al tycoon di Arcore.

1990: la guerra di Segrate

La storia degli editoriali scalfariani contro il padrone della Fininvest si apre il 13 gennaio 1990, quando Scalfari scrive un fondo dal titolo “Mackie Messer ha il coltello ma non lo fa vedere”.

Il corollario della storia è la cosiddetta ‘guerra di Segrate’, combattuta a quei tempi a colpi di avvocati e carte bollate da Carlo De Benedetti e Silvio Berlusconi per il controllo della Mondadori. L’appena citato Mackie è un immaginario gangster, personaggio de L’opera da tre soldi di Bertolt Brecht. Scalfari si guarda bene dal citare il nome di Berlusconi, ma fa riferimento a Mackie come un “gangster furbissimo e simpatico”, capace di “sopraffazione, intimidazione, lusinghe, metodi senza regole” e legato a “servizi segreti, logge più o meno massoniche, parlamento e governi”. Alla fine, però, la parziale vittoria dell’editore di Repubblica spinse Scalfari a più miti consigli nei confronti di B., a cui venne promesso un trattamento speciale in caso di notizie per lui scomode (circostanza rivelata da Scalfari solo nel 2016).

La discesa in campo di Berlusconi, il ‘ragazzo Coccodè’

I rapporti tra Berlusconi e Scalfari peggiorano nuovamente tra la fine del 1993 e l’inizio del 1994, quando il patron della Fininvest decide di scendere personalmente nel campo della politica fondando Forza Italia. Diciamo che Scalfari non la prende bene e il 27 gennaio 1994 scrive un pezzo dal titolo inequivocabile: “Scende in campo il ragazzo Coccodè” (le ragazze Coccodè sono quelle inventate per il suo programma da Renzo Arbore). In questa occasione il Fondatore si scaglia con violenza contro le cause oscure che hanno permesso all’ex presidente del Milan di ritrovarsi tra le mani l’impero mediatico Fininvest “tutto in barba alle leggi” perché “in nessun luogo del mondo sarebbe minimamente pensabile che un tycoon di quelle dimensioni fondasse un partito”.

Il paragone tra Berlusconi e Mussolini

Dall’infinita teoria di articolesse scalfariane antiberlusconiane estraiamo, per motivi di spazio, solo alcune perle. Silvio Berlusconi, scrive Scalfari il 14 maggio 1995, “appartiene a quel genere di uomini che fanno la fortuna di un’impresa e la rovina di un paese, quel genere di uomini pericolosi per definizione”. Da scolpire negli annali il paragone con Benito Mussolini, vergato il 22 marzo 2009. “Berlusconi è un uomo di gomma, laddove Mussolini si atteggiava a uomo di ferro”, scrive Scalfari secondo il quale, anche se tra i due “il fine è analogo”, ovvero “un Capo carismatico, plebiscitato da un popolo che ha rinunciato ad essere popolo”, le differenze sono profonde perché, mentre Mussolini “distrusse la democrazia”, Berlusconi “galleggia e padroneggia la democrazia cercando di renderla invertebrata”.

Il 28 febbraio 2010, poi, Scalfari accusa il berlusconismo di essere una “furia mirata ad abbattere lo spirito stesso della Costituzione repubblicana”. Il 5 giugno 2011, infine, il Fondatore di Repubblica parla di Berlusconi come di un uomo che “ha una concezione autoritaria della democrazia”.