Un appuntamento che la Svizzera attendeva da più di due anni: il referendum sull’abolizione del canone tv.
Ebbene, il 71,6% dei votanti ha detto No, stando alle proiezioni dell’istituto demoscopico Gfs.bern.
I cittadini svizzeri hanno scelto di continuare a pagare l’imposta per il servizio pubblico, attorno ai 400 euro annui, che consentirà alla Ssr (Società Svizzera di Radiotelevisione) il normale svolgimento delle attività, opponendosi fermamente alla proposta avanzata dai partiti di destra, che era stata osteggiata anche dal governo stesso.
La questione in discussione nel referendum
Bisogna fare un salto indietro, fino al 2015. All’epoca, un gruppo di cittadini e di politici di destra, riunitisi in un Comitato, si erano impegnati a raccogliere 141mila firme di persone 'contrarie al canone obbligatorio', che avevano dato così il via libera all’esecuzione del referendum, tenuto lo scorso 4 marzo con la denominazione di 'No Billag'.
L’iniziativa era partita infatti dalle sezioni giovanili conservatrici dell’Unione democratica di centro e del Partito liberale radicale. 'Di fatto, è una tassa nascosta perché chiunque è chiamato a pagarla, anche se non vuole fruire dei programmi Ssr - ha denunciato l’Udc- Non possiamo continuare a pagare tasse per finanziare programmi che non ascoltiamo o che non guardiamo' conclude.
Perciò, chiedevano che fossero apportate delle modifiche al sistema di riscossione del canone per la televisione.
'La Confederazione – era scritto sul testo in votazione - non riscuota più il canone obbligatorio destinato a finanziare le attività della Società svizzera di radiotelevisione e delle radio locali e tv regionali che adempiono un mandato di servizio pubblico'.
Un risultato positivo per la società svizzera radiotelevisiva
Il futuro della Ssr è salvo. Il peggio è stato scongiurato, dal momento che un voto diverso al referendum, in positivo, avrebbe significato il drastico fallimento della società di radiotelevisione svizzera, con ripercussioni dirette sui suoi 6mila lavoratori.
Il rischio più alto sarebbe stato, infatti, soprattutto quello di perdere le principali emittenti locali, che hanno sempre usufruito di una quota pari al 6% del canone; i programmi radio-televisivi e i siti online in quattro lingue, fiori all’occhiello dell’emittente.
Un sospiro di sollievo dunque per questo risultato ottenuto, del tutto inaspettato, dal momento che la Svizzera ha sempre dimostrato di prendere decisioni al di là dei pareri della maggioranza dell’esecutivo e del legislativo, vedi l’abolizione dei minareti, il parere negativo sulla libera circolazione e l’integrazione europea.
In questo caso, si è trattato di un’eccezione che non conferma alcuna regola.