Lo scenario maturato nelle ultime ore era, in fondo, abbastanza prevedibile: i valori e le posizioni dei tre principali poli della Politica italiana sono troppo diversi, quasi inconciliabili. E, in vista del nuovo giro di consultazioni, fissato dal Capo dello Stato Sergio Mattarella per giovedì 12 e venerdì 13 aprile, le distanze non sembrano colmarsi: anzi, semmai appaiono sempre più profonde.

L'eterogenea unità del centrodestra

Con un'espressione di bersaniana memoria, si potrebbe affermare che i due schieramenti scelti dalla maggioranza degli Italiani hanno in realtà "non vinto" l'ultima tornata elettorale: in effetti, il quadro politico delineato dalle elezioni del 4 marzo è estremamente frammentato, al punto che risulta difficile indicare un vincitore indiscusso. E più di uno rivendica, con il successo nelle urne, l'onore e l'onere di formare il nuovo Governo. Da un lato, vi è la coalizione di centrodestra, che il mese scorso si è innalzata intorno al 37% dei consensi e detiene dunque la maggioranza relativa dei seggi in Parlamento: una coalizione a trazione leghista e guidata da Matteo salvini, il leader che si sta spendendo più attivamente per favorire il dialogo.

Il segretario del Carroccio non ne fa una questione di nomi, bensì di programmi, ma al contempo ricorda come il suo partito abbia già fatto dei passi indietro in occasione dell'elezione dei Presidenti di Camera e Senato. Quindi, conclude, ora tocca ad altri mostrare responsabilità. Il centrodestra si presenterà unito alle prossime consultazioni (cosa che non aveva fatto in precedenza), ma ha ancora vari nodi da sciogliere - a partire dall'atteggiamento da tenere nei confronti delle altre forze politiche: non è un segreto che Forza Italia preferirebbe cercare un accordo con il Partito Democratico, che invece Lega e Fratelli d'Italia vedono come il fumo negli occhi; d'altra parte, il partito di Giorgia Meloni diffida anche del Movimento 5 Stelle, con cui invece il Carroccio appare intenzionato a discutere malgrado l'avversione degli azzurri.

Un punto fermo sembra comunque esserci: il Presidente del Consiglio dovrà essere espresso dallo schieramento che ha preso più voti e, pertanto, dovrà essere indicato dal centrodestra.

I veti del M5S

E qui iniziano i conflitti con Luigi Di Maio, il quale avoca a sé la vittoria elettorale in quanto il M5S è risultato essere il primo partito con oltre il 32% dei voti: il capo politico dei pentastellati punta dritto verso Palazzo Chigi, offrendo a Lega e Partito Democratico un contratto ispirato a quello che in Germania ha portato alla riedizione della Grosse Koalition. Resta però il problema dei veti incrociati. Salvini, infatti, sarebbe disposto a ragionare con i Cinque Stelle come leader della coalizione di centrodestra, ma i grillini insistono nel voler escludere Forza Italia da qualsiasi trattativa: il che inasprisce sempre più i toni degli azzurri, oltre al fatto che Salvini dovrebbe sacrificare Berlusconi sull'altare di un Governo Di Maio in cui il segretario del Carroccio sarebbe un semplice gregario.

E non si capisce perché mai dovrebbe farlo. I pentastellati ne sono coscienti, ed è per questo che lasciano la porta aperta anche al Pd: perfino a un Pd renziano, un'ipotesi fino a qualche giorno fa assolutamente irrealistica.

L'equidistanza del Pd

Già, il Pd. Il grande sconfitto delle urne mantiene per ora un atteggiamento di equidistanza da entrambi gli schieramenti, deciso a collocarsi laddove gli elettori hanno stabilito. Ovvero all'opposizione. Questa, almeno, è la posizione ufficiale, anche se non mancano i distinguo di chi, soprattutto nella minoranza interna, non vorrebbe rassegnarsi all'irrilevanza e auspica almeno l'apertura di un confronto con il M5S. Un'idea, al momento, respinta con fermezza dal segretario reggente Maurizio Martina, anche a causa delle dure posizioni espresse dai grillini nel quinquennio di Governi dem.

In ogni caso, l'Assemblea Nazionale del 21 aprile sarà probabilmente l'occasione di una prima resa dei conti: Di Maio attende, e con lui l'Italia intera. Secondo quanto è emerso, l'unica opzione che Mattarella non sembra orientato a considerare è un immediato ritorno alle urne. Il Presidente della Repubblica sa che un'intesa tra forze politiche così reciprocamente ostili è improbabile nel breve periodo ma, sulla base di quanto avvenuto in Germania (dove ci sono voluti sei mesi per formare il nuovo Governo), appare intenzionato ad attendere. Del resto, le nuove elezioni sarebbero probabilmente inutili, a meno che non si cambi la legge elettorale. Per questo il Capo dello Stato potrebbe ulteriormente procedere a un terzo giro di consultazioni, e forse anche a un quarto e a un quinto. Salvini e Di Maio, che hanno agitato sovente la "minaccia" del voto anticipatissimo, sono avvisati.