Su una cosa, a sentire i rumours di queste ore, il leader della Lega, Matteo Salvini, e quello del M5S, Luigi Di Maio, sembrano poter essere d'accordo: l'idea di spartirsi le presidenze delle due Camere. Che ciò si debba o meno alle sollecitazioni del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, il dialogo tra le due forze politiche che hanno "non vinto" (per citare Pierluigi Bersani) le elezioni del 4 marzo sembra avviato. Per Montecitorio e Palazzo Madama, almeno: perché, per quanto riguarda Palazzo Chigi, la partita si fa enormemente più complessa.

Il risiko di Camera e Senato

Si è detto fin da subito che il primo banco di prova per il neonato Parlamento sarebbe stato costituito dall'elezione dei Presidenti di Camera e Senato: il primo impegno della nuova legislatura che sarà varata ufficialmente venerdì 23 marzo. Secondo indiscrezioni, il leader del Carroccio punterebbe a insediare sullo scranno più alto di Palazzo Madama Roberto Calderoli, nel qual caso alla presidenza della Camera potrebbe andare il pentastellato Emilio Carelli. Ma nulla vieta che sia il Senato ad andare ai Cinque Stelle, che potrebbero indicare Danilo Toninelli o Paola Taverna, lasciando Montecitorio alla Lega, che potrebbe avanzare la candidatura di Giancarlo Giorgetti.

Da questo risiko resterebbero quindi fuori Forza Italia, che ha già manifestato il proprio disappunto, e il Partito Democratico, che continua ad autoescludersi da ogni ipotesi di collaborazione.

L'insostenibile leggerezza di essere Mattarella

Già, il Partito Democratico. Il grande sconfitto dell'ultima tornata elettorale potrebbe paradossalmente risultare l'ago della bilancia nella partita più importante - quella per Palazzo Chigi: e non è un caso che ormai da giorni si moltiplichino gli appelli ai dem affinché appoggino - o non osteggino - questo o quell'esecutivo.

Inviti tutti rinviati al mittente, almeno per il momento: ma il barometro della politica è per sua natura instabile e pronto a giravolte anche clamorose, come ha dimostrato il caso tedesco della SPD, entrata a far parte della Grosse Koalition dopo che per mesi il presidente Martin Schulz aveva decisamente negato ogni possibilità.

Non va in effetti dimenticato che la politica è l'arte del compromesso. Una considerazione che potrebbe risultare quanto mai opportuna in circostanze in cui i principali attori della scena pubblica, a quanto si evince dalle dichiarazioni ufficiali, appaiono volersi mantenere saldi ognuno sulle proprie posizioni.

Sia Salvini che Di Maio sono consapevoli che i rispettivi elettori digerirebbero a fatica un accordo con forze esterne, rispettivamente, alla coalizione e al movimento - e potrebbero perciò punirli alla prima occasione. Dei due, a risentirne maggiormente potrebbe essere il leader pentastellato, avendo presentato la squadra di Governo ancora prima delle elezioni, col rischio di dover fare ora una clamorosa retromarcia.

Ecco perché i fari sono tutti puntati sulla Direzione del Partito Democratico, che dovrà decidere come gestire la sconfitta elettorale e le dimissioni di Matteo Renzi: perché da questa riunione potrebbe scaturire un'apertura che favorirebbe l'uscita dall'impasse, oppure una chiusura ancor più netta che aprirebbe la strada a un nuovo, ravvicinato e altrettanto aleatorio ricorso alle urne.

Questa sera se ne saprà di più. E forse anche il Presidente della Repubblica potrà ricavarne delle indicazioni utili per il prosieguo della legislatura. In molti, in questi giorni convulsi, hanno fatto appello alla sua saggezza: ma la matassa da sciogliere sembra ingarbugliata come il nodo gordiano. E, forse, mai come in queste ore, in questi giorni, in queste settimane, Mattarella starà sentendo il peso dell'insostenibile leggerezza di essere il Capo dello Stato.