La demenza di Alzheimer di solito ha un inizio abbastanza silenzioso, malattia di cui, nonostante gli enormi sforzi messi in campo dalla ricerca, ancora non si conoscevano le cause fino ad oggi.

Le persone iniziano a dimenticare alcune cose, per poi arrivare ad un punto in cui non riescono a riconoscere nemmeno le persone care: familiari e amici. Progressivamente hanno bisogno sempre più d'aiuto anche per le attività quotidiane più semplici.

Malattia di cui in un recente studio della malattia, pubblicata sulla rivista Nature si parlava della possibile trasmissione del morbo, mediante contagio.

Questa malattia degenerativa è in forte aumento e ha un potente impatto sociale in Italia, che solo nel nostro bel Paese fa registrare cifre sempre più allarmanti. Oltre un milione di malati sono affetti da questa malattia degenerativa, il picco più alto si registra in Puglia oltre 70 mila casi, con un aumento annuale di circa 150.000 nuovi casi in tutta Italia. Analizzando poi la patologia in rapporto all'evoluzione della malattia, i costi sanitari oltre a quelli indotti variano tra i 15000 e i 50000 € annui per paziente.

Per questo motivo il Parlamento europeo l'ha dichiarato priorità di Salute pubblica.

Nei pazienti affetti da questa malattia degenerativa si osserva una perdita di cellule nervose nelle aree celebrali essenziali per la memoria e le altre funzioni cognitive, riscontrando, inoltre, un basso livello di acetilcolina, molecola che ha la funzione di neurotrasmettitore ed è coinvolta nella comunicazione tra le cellule nervose.

Qual'è stata la scoperta di questo studio sul Morbo di Alzheimer?

Un team di ricerca guidato da scienziati dell'Università del New South Wales (UNSW) in Australia, ha cercato di studiare le modalità del meccanismo con cui le inter-connessioni del cervello vengono distrutte, agli albori della malattia.

La ricerca in questione va ad esplorare un campo fin ora mai osservato per cercare di vincere la battaglia e trovare la cura di questa malattia degenerativa. 

Lo studio del UNSW si è focalizzato nel cercare di capire meglio come la malattia degenerativa rompa le strutture che collegano i neuroni nel cervello, note come sinapsi. Queste connessioni sono essenziali per assolvere a tutte le funzioni celebrali, soprattutto nella formazione della memoria. E' noto infatti da tempo come il Morbo di Alzheimer rompa questi collegamenti ma fino ad oggi come questo si verificava era un mistero. 

Il team di esperti Australiano si è concentrato su una proteina nota come molecola di adesione neurale 2 (Neural Cell Adhesion Molecule in sintesi NCAM2).

Studiando il tessuto cerebrale di individui post-mortem , nello specifico la zona l'ippocampo - una zona altamente colpita dalla malattia. I ricercatori hanno scoperto che i livelli di questa proteina NCAM2 , nelle sinapsi, era più bassa nei malati di Alzheimer rispetto ai soggetti sani, suggerendo agli scienziati che la proteina aveva un ruolo nella distruzione.

Proseguendo nella ricerca, nei test di laboratorio sui topi, è stato riscontrato dagli scienziati che la molecola NCAM2 è in effetti rotta da un'altra proteina il beta-amiloide. Quest'ultima la si conosce bene in quanto è uno dei primi componenti d'allarme che portano a diagnosticare la malattia, è una delle principali cause di formazione delle placche e dei viluppi, che si accumulano nel cervello e che fanno progredire la malattia. In recenti studi in Korea dell'University of Science and Technology hanno cercato di porvi rimedio sviluppando un modo per bloccare la formazione delle placche causate dalla  proteina beta-amiloide.

Lo studio in generale del Team Australiano va ad identificare quali sono le cause della perdita della sinapsi, danneggiate dagli effetti del beta-amiloide. Con questo studio si spera, in un futuro, avendo compreso il processo, di riuscire a sviluppare trattamenti preventivi più mirati.